La lavorazione del pomodoro tra storia, ritualità e famiglia
Passata di pomodoro, conserve e concentrato rientrano tra le varie tradizioni che, nel secolo scorso, le famiglie meridionali portavano con loro nei trasferimenti al nord, alla ricerca di una vita migliore. Torniamo, con i ricordi, a quei tempi e scopriamo come replicare una lavorazione casalinga densa di antica ritualità.
Le moderne aziende che producono passate, pelati e concentrati di pomodoro, per rispettare le vigenti norme igienico-sanitarie, si servono di linee di riempimento asettico e altamente tecnologiche. Riempitrici, passatrici, raffinatrici e altri macchinari, consentono l’automatizzazione dell’intero processo produttivo da cui si ottiene una media di 10.000 barattoli l’ora per soddisfare l’attuale domanda del mercato.
Eppure, prima delle grandi storie aziendali, l’unica realtà che realizzava questo alimento genuino erano le famiglie, soprattutto quelle dell’Italia meridionale. Come una vera e propria impresa, a ciascun membro veniva assegnato un compito preciso nella “filiera produttiva” e, ogni anno, si finiva per fare una scorta di bottiglie e barattoli che bastava per tutto l’anno.
La passata di pomodoro
La lavorazione aveva inizio nel caldo mese di agosto, con l’acquisto al mercato di svariate casse di pomodori perini (circa 120 kg per famiglia). Una volta lavati e messi ad asciugare sopra un telo, tagliati in quattro parti, venivano calati all’interno di pentoloni del diametro di 40 cm e altezza di 50 cm.
Gli ortaggi andavano a formare uno strato che veniva schiacciato a mano; quindi si procedeva a realizzare uno strato ulteriore e così via fino a raggiungere il bordo del contenitore. Infine si aggiungevano delle foglie intere di basilico e sale fino.
Il pentolone si trasferiva sul fuoco per circa due ore durante le quali il volume del contenuto diminuiva gradualmente fino ai ¾. A questo punto, si spegneva la fiamma e si aspettava che il prodotto si raffreddasse. Nel frattempo, in acqua bollente, si sciacquavano delle bottiglie scure da birra vuote e si procedeva ad asciugarle sia all’interno che all’esterno.
Una volta raffreddati i pomodori cotti, si trasferivano nel passaverdure (successivamente sostituito dallo spremipomodoro manuale o elettrico). Terminata quest’operazione, lo scarto prodotto veniva nuovamente ripassato attraverso l’attrezzo. Gli ulteriori scarti non venivano buttati ma destinati all’alimentazione delle galline dell’orto.
Nella fase successiva, aiutandosi con l’imbuto, si riempiva ciascuna bottiglia che veniva sigillata con un tappo a corona attraverso la tappatrice. La fase di sterilizzazione poteva essere eseguita in casa, facendo bollire le bottiglie tappate in un pentolone per circa un’ora e mezza, oppure all’aperto riponendole in un grande bidone di latta a strati alterni con della paglia. Anche questi venivano fatti bollire e si aspettava che le bottiglie fossero fredde prima di asportarle.
Le conserve di pelati
Assieme alla passata di pomodoro, ogni famiglia destinava una parte della materia prima alla produzione delle conserve.
I pomodori lavati venivano sbollentati per 1 o 2 minuti, quindi pelati ancora caldi e messi nei famosi “boccacci” (contenitori di vetro per conserve), riempiti fino all’orlo. Il tutto veniva coperto da un sottile strato di salsa di pomodoro e una foglia di basilico. I barattoli venivano, così, chiusi con un tappo a vite e messi a bollire.
Il concentrato di pomodoro
Ultimo, ma non per importanza, è invece il processo di ottenimento del concentrato di pomodoro che avveniva in Sicilia, sulle strade corleonesi. Dopo aver realizzato la salsa, essa veniva stesa su tavole di legno in mezzo alla strada del paese e lasciata seccare al sole, rimescolando di tanto in tanto con un mestolo di legno.
Una volta ristretto di volume, il concentrato ottenuto veniva conservato in contenitori adatti per averlo a disposizione per tutto l’anno.