Tre muffin, un architetto e un nuovo libro: Angela Simonelli si racconta

Si chiama “A scuola di food design in pasticceria” il nuovo libro di una delle food blogger italiane più apprezzate. Non solo una raccolta di ricette ma un utile e pratico manuale di estetica dei piatti di cui abbiamo parlato in un’intervista andata oltre quest’ultima fatica
Il food design è stato il fil rouge che ha accompagnato la ristorazione degli ultimi 20 anni, alla pari della ricerca di nuove tecniche di cottura. Dai primi tentativi di decor plating ad oggi sono passati decenni ma mentre una volta un certo stile era associato esclusivamente al ristorante di classe, quello elegante ed esclusivo, oggi il cibo viene presentato con creatività non solo in tutti i tipi ristoranti ma anche a casa.
Food design: quando il piatto deve essere anche bello
Il fenomeno delle food blogger, ormai diventata una professione, ha portato l’estetica del cibo nella quotidianità fra stoviglie di design, taglieri massicci, cristalli decorati e tovaglie vintage: tutto sapientemente fotografato, postato (sappiamo ormai tutti cosa significa, giusto?) e replicato a casa dalle tante massaie-follower appassionate di cucina.
Sapore, ma anche estetica, armonia e creatività sono i pilastri su cui si muove la nuova era della cucina di casa: ma come fanno i comuni mortali che non hanno neanche il diploma alberghiero a pensare piatti tanto belli da non sembrare veri e magari anche molto buoni?
Può accadere se sei un architetto con una grande passione per la cucina come è accaduto ad Angela Simonelli, 43 anni, autrice del libro “A scuola di food design in pasticceria. Dal cioccolaro ai lievitati”, edito da Giunti Editore e uscito lo scorso 28 aprile.
Chi è l’autrice di “A scuola di food design in pasticceria”
Angela Simonelli è nata a Livorno ma da anni vive a Firenze. Oggi, oltre a essere un architetto, è anche l’autrice del blog “Tre muffin e un architetto” in cui si diverte con la passione per la cucina e del food design; una passione che in realtà è diventata una seconda attività e che l’ha portata a diventare una delle food blogger con maggiore seguito proprio per la sua capacità di dare una veste nuova alle ricette tradizionali e non solo.
Così come nel primo volume che parlava di cucina, uscito nel 2018, anche “A scuola di food design in pasticceria. Dal cioccolato ai lievitati” non è solo una raccolta di ricette ma un utile e pratico manuale di food design, ovvero di come presentare i dolci e renderli belli oltre che buoni, come presi in pasticceria.
Avevo acquistato il primo libro un anno fa e lo avevo trovato davvero utile perché nel mare magnum di pubblicazioni gastronomiche spesso si finisce col perdersi oppure col portare a casa raccolte di ricette che dopo una veloce sfogliata rimangono sulle mensole della libreria di casa a prendere polvere.
I libri di Angela Simonelli, invece, sono utili perché hanno sempre una lunga premessa che accompagna alla pratica spiegando l’importanza dei colori, delle texture e delle geometrie nei piatti; si passa poi alle ricette, spiegate e fotografate passo per passo, che sono sicuramente complesse ma altrettanto realizzabili in casa, complice la passione e la voglia di mettersi in gioco.
Ma quello che si trova nelle 190 pagine del libro è soprattutto un messaggio importante: la passione si può trasformare in un lavoro e può cambiarti la vita, a patto di saper fare davvero qualcosa e avere voglia di trasmetterlo agli altri.
Intervista ad Angela Simonelli
Dietro una storia di successo c’è sempre tanta dedizione ma anche storie personali di rinascita che vanno ben oltre una sommaria recensione, per questo motivo abbiamo voluto intervistare Angela Simonelli.
Angela, quando la cucina è diventata una passione così forte?
«Fin da piccola avevo la passione per la cucina: ricordo che quando avevo sette anni ad un Natale i miei genitori mi regalarono “Dolce Forno” e arrivati alla fine del gennaio successivo, dopo appena un mese, il giocattolo era già fuori uso perché lo usavo come un forno di casa e dopo soli sette giorni feci un dolce per il compleanno di mia madre. Durante l’ adolescenza, invece, quando i miei genitori andavano in vacanza io ne approfittavo per fare grandi cene in casa: cucinavo cose così particolari che alcuni pensavano che le avessi comprate in rosticceria. All’epoca collezionavo i ritagli di giornali con le ricette e ancora li conservo, tanto che ho i faldoni addirittura catalogati».
Però hai scelto di fare l’ architetto e non la cuoca..
«Durante il periodo universitario mi allontanai dalla cucina per concentrarmi sul lavoro ma dopo il matrimonio, la nascita dei miei tre figli e le loro richieste particolari mi portarono a rimettermi ai fornelli, inizialmente facendo delle torte di compleanno decorate. Il risultato fu che tante mamme dei compagni dei miei figli iniziarono a chiedermi ricette e consigli, così nel 2015 aprii il mio blog “Tre muffin e un architetto”, dove i tre muffin sono i mie figli e l’ architetto sono io».
In poco tempo sei diventata una blogger apprezzata e la passione si è trasformata in lavoro: ci racconti come è andata?
«Partecipai ad un contest su Facebook organizzato da un’azienda, in palio c’ era la possibilità di trascorrere una giornata con uno chef stellato. Vinsi il concorso e mi ritrovai, per un giorno, fianco a fianco con lo chef stellato Marco Stabile e quell’esperienza cambiò tutto: io non ero mai stata in ristoranti gourmet ma mettendomi a lavoro capii quanto mi piacesse la cucina elegante e lo stesso Stabile mi invitò a sviluppare la mia passione. Lo chef mi spiegò che era difficile avviare una carriera da chef perché avevo già 35 anni ma potevo comunque seguire la mia passione senza fare ristorazione classica. La sua fiducia mi riempì di orgoglio e mi diede una spinta, anche perché in quel periodo ero entrata in crisi: mi sembrava di aver passato la mia vita “facendo la brava senza pensare mai a me stessa”, cioè portando a termine gli studi, lavorando e formando una famiglia, ma il mio rapporto coniugale era entrato in crisi e io mi sentivo una nullità. La gratificazione che mi veniva dalla cucina mi fece capire che non ero una nullità ma che mi stavo inventando un’altra attività e così mi buttai a capofitto in questa passione: partecipai a 12 contest e ne vinsi 10; ebbi l’opportunità di conoscere grandi chef e pasticcieri e capii che il mio stile riguardava soprattutto l’aspetto estetico del cibo, che andava di pari passo con il mio lavoro di architetto».
Che affinità ci sono tra un architetto e una food designer?
«Io mi occupo soprattutto di ristrutturare negozi; in questo lavoro ci vuole un senso estetico maniacale, la capacità di visualizzare il risultato ancor prima di iniziare ma anche la voglia di ridare dignità e valore agli ambienti; nella cucina accade la stessa cosa perché quando siamo di fronte al piatto, oltre al sapore sentiamo anche il profumo e vediamo la sua presentazione ed è questa armonia dell’insieme che ci fa vivere un’esperienza totalizzante. Quindi l’estetica dà valore al piatto, accresce il piacere del palato ma ovviamente una bella presentazione non può camuffare un piatto cucinato male».
Intanto la tua vita cambiava..
«Nel 2017, durante un concorso, conobbi un regista di Alice Tv che mi propose di registrare un programma di cucina. Nacquero così le 40 puntate di “Gourmet”, un programma incentrato sul food design, e l’anno successivo la Giunti Editore, nella persona di Marco Bolasco, mi propose di pubblicare un libro intitolato proprio “Food design”. Successivamente ho pubblicato una raccolta con Luisanna Messeri in cui abbiamo preparato ricette tradizionali ma presentandole con una veste nuova».
Intanto sei diventata anche docente e tieni corsi di estetica del cibo in cui i tuoi allievi spesso sono proprio gli chef: che rapporto hai con loro? C’è competizione?
«Con gli chef c’è un rapporto di rispetto dei ruoli: io non entro nel merito delle loro ricette e dell’esecuzione ma mi occupo solo di esaltare le loro preparazioni, aiutandoli a tirare fuori la loro creatività e insegnando a rispettare i tempi della linea per avere sempre tutto in regola. A volte capita che ci sia un po’ di diffidenza iniziale ma poi si crea sempre un clima di collaborazione e con alcuni di loro si è instaurato davvero un buon rapporto, quasi amichevole».
Parliamo di questo nuovo lavoro editoriale?
«Questo libro è stato faticoso ma sono tanto soddisfatta: ci sono 40 ricette, dalle creme ai grandi lievitati passando per la cioccolateria. La pasticceria è complessa e precisa ma le ricette sono replicabili a casa, ognuno secondo la propria capacità. Questo però non è un classico libro di ricette di pasticceria perché mi sembrerebbe anche andare fuori il mio campo: il vero plus di questo libro è che ogni ricetta ha le sue decorazioni per farla bella. Resto sempre nel mio settore di competenza».
Per il futuro cosa ti piacerebbe fare?
«Continuerò il mio lavoro di architetto ma mi piacerebbe un mio programma televisivo sull’estetica del cibo coinvolgendo anche gli chef: voglio dare valore all’uomo-artista».
Prima di salutarci, ci dici qual è, secondo te, l’utensile o l’elettrodomestico che non può mai mancare in cucina?
«Senza dubbio il minipimer, è fondamentale; ci puoi fare tantissime cose, dal montare al frullare ed è l’unico elettrodomestico indispensabile anche nei corsi di cucina».
A scuola di food design in pasticceria. Dal cioccolato ai lievitati
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