Lucia Antonelli: «La cucina mi accende e mi tiene in moto»
Una chiacchierata a tu per tu con la “regina del tortellino“, cuoca bolognese della rinomata Taverna del cacciatore di Castiglione dei Pepoli.
«Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto». Così scriveva Anthelme Brillat-Savarin già nel 1825 nella sua Fisiologia del gusto ed è esattamente quello che accade nella Taverna del cacciatore a Castiglione dei Pepoli, ridente località dell’Appennino bolognese tra l’Emilia e la Toscana, con paesaggi suggestivi e tesori ancora tutti da scoprire e valorizzare.
Padrona di casa di questo ristorante di frontiera, è Lucia Antonelli una cuoca il cui nome è indissolubilmente legato alla sfoglia emiliana ed in particolare al tortellino bolognese di cui è la regina indiscussa per aver vinto premi, concorsi vari ma soprattutto per aver conquistato anche i palati più esigenti.
Il ruolo di questa “artigiana” dalle mani d’oro non è relegato solo alla cucina perché Lucia, insieme al marito Guido, sono presenze costanti e premurose, senza risultare mai invadenti. Nella grande sala de La Taverna del Cacciatore, ricca di mobili e accessori che testimoniano un lungo passato e affetti familiari, la chef si accerta che tutto funzioni alla perfezione, che i suoi ospiti siano a proprio agio e si intrattiene con loro, se richiesto, raccontando storia e tradizione dei suoi piatti. Con le sue parole si può percorrere un viaggio nella storia del territorio e nelle usanze delle cucine contadine i cui segreti vengono tramandati di famiglia in famiglia. Erbe spontanee, aromi, verdure, tartufi, funghi, formaggi, cacciagione, pollame e pane sono gli ingredienti di piatti nati poveri ma che oggi assurgono al rango di eccellenze culinarie.
Noi l’abbiamo incontrata proprio nel suo regno e, come sempre, si è raccontata con simpatia e disponibilità. Lucia Antonelli è bella e schietta come le montagne che avvolgono il suo ristorante, frizzante come l’aria pungente che – in questo paesino – pizzica la pelle anche nei periodi più torridi dell’anno. Nei suoi occhi si legge passione e curiosità, dalle sue parole si percepisce una instancabile voglia di fare e di comunicare cosa significhi, per lei, stare ai fornelli.
Ciao Lucia, da quanto tempo fai questo lavoro?
Sono nata e cresciuta a Castiglione dei Pepoli e qui, fin da piccola, ho amato cucinare. Essendo l’unica nipote femmina, la mia nonna materna mi ha insegnato tutto e quindi, per me, la cucina è stata una forma di gioco. Si dice che il gioco prepara alla vita e, nel mio caso, è stato proprio così perchè quel gioco si è trasformato nel mio mestiere. Pur facendolo come professionista da 25 anni, in realtà, ho sempre cucinato, casa mia era frequentata da molti amici che sono stati il mio primo e severo banco di prova.
Hai frequentato la scuola alberghiera?
No, mi sono laureata in scienze motorie all’Istituto Superiore di Educazione Fisica e avevo intrapreso l‘insegnamento con qualche supplenza. Tuttavia, pur amando lo sport, quello scolastico non era un ambiente in cui mi sentivo a mio agio pertanto quando – nel 1991 – i miei suoceri hanno deciso di andare in pensione, con mio marito abbiamo deciso di proseguire la loro attività. Avevo 27 anni ed è stata quasi una scelta incosciente in quanto amavo cucinare e avevo una certa pratica però mi rendevo conto di avere delle lacune da colmare.
E come hai fatto?
Da sempre sono un’assidua lettrice di riviste specializzate e di volumi storici, dal Manuale dell’Artusi – che una vicina di casa mi ha regalato per la cresima intuendo che per me era un dono prezioso – a L’arte della cucina moderna di Henri-Paul Pellaprat fino al Talismano della felicità scritto da Ada Boni, nel 1915. Sono libri fondamentali per chi fa questo lavoro e, personalmente, ci trovo delle certezze e dei gusti che sono tanto collaudati. Inoltre, mi sono perfezionata con diversi corsi ma soprattutto mi sono impegnata con tantissimo esercizio. Fare la sfoglia mi piace ma, per raggiungere buoni risultati, è stata la pratica che mi ha permesso di acquisirne tutti i segreti.
Che effetto ti fa stare in cucina?
Lo considero il mio ambiente naturale, mi piace fare tutto e sono molto curiosa, devo sperimentare come forma di soddisfazione. Vedere la riuscita di un piatto, per me, è un motore pazzesco, mi accende e mi tiene in moto.
Come si combina una cucina tradizionale come la tua con le nuove tecniche?
Oggi la tecnologia è fondamentale. Dodici anni fa, ad esempio, ho acquistato un forno tecnologico che ha rappresentato un grande investimento ma avevo intuito che era un attrezzo che mi poteva dare una grande mano, soprattutto per andare incontro alle nuove tecniche di cottura. Questo per dire che il progresso aiuta tantissimo anche in cucina ma non dimentichiamo che già la pentola a pressione era stata un’innovazione. Io la uso ancora oggi e credo che, ogni alimento, richieda una specifica tecnica di cottura. Nel mio lavoro le uso tutte, il fuoco, il forno tradizionale, il microonde, la pentole a pressione, la cottura a basse temperature e così via.
Cosa pensi delle sofisticazioni della cucina tradizionale?
Su questo aspetto sono democratica e io stessa amo sperimentare ma divento molto rigida quando parliamo di prodotti tradizionali come ad esempio il tortellino di Bologna che deve avere caratteristiche ben definite. Dobbiamo muoverci in difesa di questi piatti tradizionali, sia negli ingredienti che nella lavorazione. La sfoglia per la pasta, ad esempio, deve essere tirata al mattarello e non con l’uso delle macchine.
Hai contagiato anche tuo figlio in questo lavoro
(Ride, ndr) Quando mio figlio si è iscritto alla scuola alberghiera, ci ha lasciato perplessi anche perché, per 5 anni, non ha toccato una padella. Poi ha frequentato Scienze gastronomiche a Parma e si è laureato diventando gastronomo. Nell’attesa di realizzare il sogno di lavorare in un birrificio, si è messo a darmi una mano nel nostro ristorante ed è stato contagiato da questo lavoro che ti soddisfa e ti gratifica, facendotelo amare. È stato con me un anno ma, essendo giovane e con la voglia di sperimentare nuove tecniche, attualmente lavora in un altro ristorante ed è molto contento.
L’ultimo piatto uscito dalla tua cucina e che non avevi mai preparato?
È una ricetta che guarda un po’ al futuro anche se, generalmente, sono molto cauta perché credo che ci voglia coerenza nell’offerta in base al proprio locale e al posto in cui si trova. Stiamo facendo una spalla di cinghiale sfilacciata ispirata al pulled pork. Utilizzo molto la selvaggina che è un tipo di carne che cuciniamo da sempre ma su cui stiamo puntando ancora. Nel nostro Appennino abbiamo la fortuna di disporre di un’ottima materia prima perché si creano delle filiere che collegano la caccia di selezione con l’utilizzatore finale. Ai nostri clienti spiego che si tratta di una carne realmente sana perchè questi animali, essendo vissuti in un ambiente naturale, non hanno mai assunto antibiotici, medicinali vari o mangimi di sintesi. Presentiamo questa spalla di cinghiale sfilacciata insieme ad una giardiniera che è una preparazione ultraclassica ma che abbiamo ringiovanito con un profumo di zenzero.
Sappiamo che ci sono delle importanti novità che ti vedranno protagonista. Ci puoi anticipare qualcosa?
Non posso dire ancora niente ma, appena potrò, prometto di comunicarlo prima ai lettori de La Gazzetta del Gusto. Vi dico solo di tenete accesi i teleschermi…..
E noi ci contiamo…
La Taverna del cacciatore
Via Cavaniccie 8, Castiglione dei Pepoli (BO)
Tel. 0534 91143 – 338 1253996
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