Il discendente della storica dinastia di pizzaioli, legata a L’Antica Pizzeria da Michele, è anche un commercialista. In piena pandemia da Covid-19 e con la chiusura delle attività ristorative, gli abbiamo chiesto un parere sui provvedimenti del Governo per affrontare la crisi

L’emergenza sanitaria mondiale causata dal dilagare del Coronavirus ha innescato una crisi senza precedenti con pesanti ripercussioni sull’economia, in particolare sui settori dei pubblici esercizi e della somministrazione: questi ultimi, infatti, sono stati repentinamente chiusi per evitare affollamenti e possibilità di contagio.
Il blocco delle attività in Italia, giunto improvviso, ha portato al crescere delle incertezze per gli addetti al settore e tanti sono stati gli imprenditori e i ristoratori che, più o meno efficacemente, hanno ipotizzato quali potrebbero essere i prossimi scenari.
Abbiamo voluto parlare di tutto ciò con Alessandro Condurro, discendente della storica dinastia di pizzaioli che da oltre 100 anni è legata a L’Antica Pizzeria da Michele a Napoli.

La scelta è ricaduta su Condurro per avere un doppio punto di vista: da un lato quello dell’imprenditore e dall’altro quello del commercialista, professione che svolge da anni e che non ha mai abbandonato.
Il suo parere è utile anche per avere una fotografia della situazione internazionale, perché con il progetto “Michele in the World”, Alessandro Condurro si è fatto promotore di un marchio che ha portato la tradizione della pizza napoletana in tante città del mondo da Los Angeles a Tokio, passando per Londra, Berlino e Dubai.
Intervista ad Alessandro Condurro
Senza la pretesa di fare una consulenza – non sarebbe certo questa la sede opportuna – proviamo insieme a lui a dipanare un po’ di dubbi, a tradurre i tecnicismi linguistici della politica economica e, se possibile, a infondere un po’ di speranza o quantomeno accendere una piccola luce.
Alessandro, partiamo dalla situazione delle tue attività di famiglia: avete pensato alla chiusura o al delivery?
«Questo ad oggi il quadro di tutte le pizzerie del circuito Michele in the world:
- Napoli: chiusa per decreto regionale del 12 marzo, che ha proibito anche il delivery. Abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per restare aperti e garantire quello che, per noi, è un servizio sociale; ricordiamo che L’Antica Pizzeria da Michele non ha mai chiuso in 150 anni di storia. Antonio Condurro (ultimo figlio di Michele) mi racconta sempre di quando gli americani entrarono a Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale: mentre le truppe alleate sfilavano con i carri armati su Corso Umberto I, a pochi metri, la pizzeria era regolarmente aperta, così come era aperta sotto i bombardamenti, durante il colera e gli anni di piombo. Per noi è stato un colpo al cuore dover chiudere proprio per ciò che rappresentiamo;
- le sedi italiane di Roma, Firenze, Bologna, Milano, Verona sono chiuse, anche se il delivery è consentito, o almeno lo era al momento della chiusura (qui, come si sa, cambiano le cose ogni giorno). Si tratta di pizzerie che comunque fanno l’80% del fatturato con la somministrazione, restare aperti solo per le consegne non è stata ritenuta una scelta conveniente;
- Los Angeles: aperta solo con il delivery. In California i ragazzi stavano lavorando benissimo ed è stato un peccato dover chiudere, anche se il loro grande entusiasmo, supportato dalle leggi del posto molto sensate, li ha portati a “reinventarsi” come una sorta di supermercato: consegnano infatti a domicilio sia le pizze, che un kit per fare la pizza in casa (panetto di pasta, porzione di pomodoro, fior di latte, olio, tutto in confezioni sigillate e sterilizzate….fantastico!), oltre che materie prime, latticini, pomodori, olio ecc.;
- la sede di Barcellona, per la stessa situazione sanitaria italiana, se non peggio, è chiusa;
- Londra: a pochi giorni dall’inaugurazione della seconda sede a Soho, è arrivata questa mazzata. Poco male, la sede di Soho è chiusa, mentre quella di Baker Street funziona con il delivery, fino a quando lo permetteranno;
- Berlino: stesso discorso di Soho. Da poco aveva aperto con successo, attualmente è totalmente chiusa, mentre i ragazzi stanno scaldando i motori pronti per ripartire;
- Dubai: funziona solo con delivery, ha resistito aperta al pubblico fino alla fine, anche se lì il panico e le restrizioni dovrebbero finire prima;
- Giappone: ultimo baluardo. Le pizzerie di Tokyo, Fukuoka e Yokohama sono sempre state aperte e non hanno mai chiuso, nonostante la crisi e le vendite ridotte, incarnando appieno quello che è lo spirito de L’Antica Pizzeria da Michele, fornendo un servizio prima di tutto sociale. Non a caso il Giappone è l’unico paese al mondo che non è mai stato conquistato da nessuno, neanche da un’epidemia».

Parliamo del decreto attuale concentrandoci sugli aspetti a supporto delle partite Iva, guardando in particolare il mondo della ristorazione: in sintesi, cosa ci dice?
«Il Decreto c.d. “Cura Italia” (D.L. 17/03/2020 numero 18) contiene le definitive (per adesso…) disposizioni che dovrebbero permettere la ripresa dell’economia italiana afflitta dall’emergenza epidemiologica COVID-19. Lo stesso si compone di 127 articoli suddivisi in 5 titoli, ed entrato in vigore dal 17 marzo. Come sempre accade in casi del genere, ci troviamo di fronte a un elaborato lungo, prolisso, i cui articoli non sempre sono precisi, prestano il fianco a molteplici interpretazioni e rinviano a provvedimenti successivi buona parte delle misure a cui fanno riferimento. Cerchiamo di capire in sintesi quali sono le misure più importanti e soprattutto quelle che interessano il settore della ristorazione, i pubblici esercizi e il commercio in generale, per rispondere a tutte le domande che ristoratori, dipendenti, artigiani, costretti a chiudere volontariamente e non, si stanno facendo in questi giorni di profondo sconforto.
- Il primo provvedimento di un certo rilievo è sicuramente indicato all’art. 22, che dà la possibilità alle aziende operanti in settori per i quali non è prevista la cassa integrazione ordinaria (tra gli altri, appunto, i ristoratori) di poter usufruire della cassa integrazione in deroga, previo accordo con organizzazioni sindacali (accordo non richiesto per le aziende con dipendenti da 1 a 5), per la durata della sospensione e comunque non oltre le 9 settimane, fatta esclusione per i lavoratori domestici. Tale trattamento vale per i dipendenti in forza al 23/02/2020, non per quelli assunti successivamente. Le aziende dovranno fare richiesta alle regioni o alle province autonome competenti territorialmente, le quali trasmetteranno il decreto di accettazione all’INPS che erogherà il trattamento ai lavoratori. Dal giorno di entrata in vigore, sono stati chiariti quasi tutti i dubbi interpretativi. Le domande di cassa integrazione in deroga si faranno entro pochi giorni, non è necessario smaltire preventivamente le ferie ed i permessi retribuiti, e soprattutto non è necessario chiudere per forza l’accordo, basta la comunicazione preventiva alle sigle sindacali.
- Gli articoli 27 e 28 stabiliscono, per i liberi professionisti iscritti alla gestione separata INPS e per i titolari di impresa iscritti alla gestione Artigiani e Commercianti, il famoso assegno una tantum di euro 600, una tantum perché ad oggi vale per il mese di marzo. Qualora la situazione di emergenza debba perdurare anche per il mese di aprile, non è sbagliato pensare che con apposito decreto si possa estendere l’assegno per un altro mese. Restano fuori coloro che versano ad altre forme di previdenza complementari o a casse private (avvocati, ingegneri, medici…commercialisti). Anche qui l’INPS dovrà emanare apposita circolare con modulo di domanda ed istruzioni.
- In ultima analisi, l’articolo 44 istituisce il Fondo per il reddito di ultima istanza, al quale potranno accedere tutti i lavoratori dipendenti ed autonomi che in conseguenza dell’emergenza COVID-19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro, per il riconoscimento di un’indennità. Le modalità di funzionamento saranno rese note con decreto da adottare entro 30 giorni da oggi.
- Dalla data di entrata in vigore del decreto e per 60 giorni successivi alla stessa è preclusa la possibilità ai datori di lavoro di licenziare per giustificato motivo oggettivo.
- L’art. 60 e seguenti affrontano il tema dei versamenti e le tasse in scadenza nel mese di marzo. In linea di massima tutti i versamenti in scadenza il 16 marzo sono posticipati al 20 marzo. Fanno eccezione alcune categorie ben identificate nell’articolo 61, che alla lettera e) del comma 2 parla esplicitamente di “soggetti che gestiscono attività di ristorazione, gelaterie, pasticcerie, bar e pub”. Per questi soggetti sono sospesi tutti i pagamenti relativi a ritenute, contributi e Iva dal 3 marzo al 30 aprile. In pratica, i due pagamenti dell’F24 di marzo e aprile slittano al 31 maggio in unica soluzione o in 5 rate mensili a partire da maggio, senza sanzioni. Resta ferma per le società di capitali la tassa sulle concessioni governative (tassa vidimazione libri sociali) da pagare il 16, adesso 20, marzo.
- Sempre restando in ambito commercianti e ristoratori, l’art. 64 riconosce un credito di imposta nella misura del 50% della spesa per interventi di sanificazione degli ambienti di lavoro, fino a un massimo di 20.000 euro, e per le attività svolte in locali commerciali in affitto (categoria C01), viene riconosciuto per il mese di marzo (al momento) un credito di imposta pari al 60% del canone di locazione indipendentemente dal fatto che sia stato già pagato o meno. Tali due crediti di imposta potranno essere utilizzati in compensazione sui modelli f24 con appositi codici forniti dall’Agenzia delle Entrate.
- L’art. 67 sospende fino al 31 maggio tutte le attività di liquidazione, di controllo, di accertamento da parte degli enti impositori. In questo periodo nessuno avrà avvisi nuovi; per quelli ricevuti prima dell’8 marzo ci sarà un termine di sospensione tipo quella feriale, per eventuali risposte da fornire, fino al 31 maggio. Al comma 4 dello stesso articolo, però vengono allungati di due anni i termini per i controlli fiscali relativi all’esercizio 2015, scadenti normalmente il 31/12/2020 ed adesso prorogati al 31/12/2022.
- L’art. 68 sospende anche i pagamenti delle cartelle emesse dall’agente della riscossione (ex Equitalia) fino al 31 maggio 2020. I versamenti sospesi dovranno essere effettuati entro il mese successivo al termine di sospensione (entro il 30 giugno) in un’unica soluzione.
Queste ad oggi le misure di maggior impatto sul settore della ristorazione e sul commercio in generale, restiamo in attesa dei vari decreti attuativi che daranno maggiori chiarimenti sui numerosi dubbi interpretativi».

Quali sono, secondo te, i punti deboli di questo emendamento?
«Un punto debole sono i fondi stanziati, che sicuramente non copriranno il fabbisogno di tutti i soggetti aventi causa, sia per gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione) che per i bonus partite iva (600 euro), con la conseguenza che, sebbene l’INPS smentisca categoricamente, ci potrebbero essere dei “Click day”: giorni, cioè, in cui dovranno pervenire le domande con preferenza a chi fa prima e fino ad esaurimento fondi. Un altro punto debole è dato dalla inevitabile lentezza con cui saranno evase le pratiche. L’INPS, che già normalmente non è un “fulmine di guerra”, si troverà nel giro di una settimana ad analizzare centinaia di migliaia di domande, con la conseguenza che sia gli ammortizzatori che i bonus saranno erogati dopo mesi, mentre l’emergenza è adesso».
Secondo te, quali potrebbero essere le scelte più oculate per evitare un’ecatombe nel mondo della ristorazione?
«Servono aiuti concreti, reali e tangibili, e soprattutto servono adesso. I crediti di imposta sono palliativi. Centinaia di migliaia di aziende intaseranno la prossima settimana il sito dell’INPS, creando ritardi e nuove circolari per far fronte all’ “improvvisa enorme richiesta” (quasi non lo sapessero). Casse integrazioni e assegni a sostegno del reddito della durata di 9 (nove!) settimane, due mesi…e poi? Credono che i ristoranti e le pizzerie facciano sold out da subito??!! Se tutto va bene, l’INPS comincerà ad erogare dopo 4 mesi, intanto peró le aziende dovranno “anticipare” le somme ai dipendenti, salvo poi portarsi tali somme a credito sui DM10 (i contributi)… ma se stanno chiusi come li fanno questi soldi per pagare?! Ok, si puó optare per l’erogazione da parte dell’INPS direttamente ai dipendenti…tra 4 mesi…e adesso queste persone come mangiano? Si dovrebbe attingere alle risorse che ogni azienda virtuosa dovrebbe possedere ma, escludendo i giovani che avranno aperto con un prestito in banca che adesso non potranno più restituire, anche le aziende più importanti hanno una riserva per un mese, forse due…qualcuno l’avrà usata per un investimento. I 600 euro a sostegno delle partite Iva? Ne vogliamo parlare? Meglio di no…
In sintesi è una lotta contro il tempo…più tempo passa, più aziende non riapriranno, più studi professionali chiuderanno (adesso parlo per la mia categoria: ammesso che i miei clienti riaprano tutti, quanti mesi dovranno passare prima che ricomincino a pagarmi, mentre io i miei collaboratori devo pagarli da subito?), più posti di lavoro si perderanno, aumenterà la delinquenza e diventeremo uno stato dell’America Centrale. Occorre denaro, denaro liquido, non crediti di imposta. Occorre tanto denaro liquido da immettere nelle aziende o nel sistema bancario, ad interessi 0 (zero!!) per un anno almeno. Occorre non rimandare, ma azzerare i versamenti dei prossimi 3 mesi. Occorre questo ed occorre adesso».