La ricetta per “stare bene in rete” secondo Parole_Ostili
Dieci protagonisti del food hanno letto il Manifesto contro l’odio in rete, nato nel 2017 per contrastare i fenomeni di hating e shaming on line. Lo ripercorriamo insieme
Esiste una ricetta per “stare bene in rete”? Per rendere il Web un “luogo” di scambio, confronto e discussione civili? A rispondere ci ha provato Parole O_Stili, associazione nata 4 anni fa dall’idea di due esperte della comunicazione, Rosy Russo e Nicoletta Polliotto, da tempo impegnate in progetti di formazione e nello studio degli strumenti e delle potenzialità della Rete.
«Parole O_stili – spiegano – nasce con lo scopo di attivare un processo di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole, soprattutto sul web».
Parole_Ostili: storia e finalità del progetto
Il progetto ha avuto il suo primo momento di confronto il 17 e 18 febbraio del 2017, a Trieste, quando venne presentato per la prima volta il “Manifesto della comunicazione non ostile“, una carta che raccoglie 10 princìpi di stile per ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi che si propagano facilmente in Rete.
A quattro anni di distanza Parole_Ostili è oggi impegnata nella progettazione e realizzazione di percorsi di educazione civica nelle scuole e nelle aziende, con il coinvolgimento di enti e istituzioni.
«Il “Manifesto della comunicazione non ostile” è un impegno di responsabilità condivisa. Vuole favorire comportamenti rispettosi e civili. E soprattutto vuole che la Rete sia un luogo accogliente e sicuro per tutti».
E proprio per celebrare il compleanno del Manifesto, lo scorso 17 febbraio Parole_Ostili ha coinvolto anche il mondo del food chiamando 10 professionisti, tra blogger, giornalisti, imprenditori, ristoratori e chef, a cui è stato chiesto di declinare i 10 punti e di spiegarne il significato attraverso la propria personale esperienza di lavoro.
Ricetta per stare in rete in 10 punti
Vogliamo ora ripercorrere con voi questi 10 punti, attraverso le parole dei protagonisti chiamati sul “palco virtuale” di Parole Ostili, così da dare vita a una vera e propria “Ricetta per stare in rete”.
Ilaria Legato, brand & food designer
«Parafrasando questa regola nel mondo della ristorazione, se sui nostri profili social scriviamo che il nostro cliente è al centro, ma poi – quando viene da noi – non abbiamo nemmeno il tempo di rivolgergli un sorriso, ecco che il nostro proclama diventa una bugia. Impariamo ad abbattere questa separazione tra “virtuale” e “reale”».
Marco Lucchini, segretario nazionale della Fondazione Banco Alimentare
«Trovare la parole giuste è fondamentale anche per imparare a guardare le nostre azioni da più prospettive diverse. Provate solo a pensare alla differenza tra il dire “ti porto cibo in eccedenza” e “ti porto un dono”. Le parole vanno scelte con cura perché raccontano agli altri chi siamo e cosa facciamo».
Francesco Farinetti – CEO di Green Pea
«Ci sono parole che non usiamo più o che usiamo troppo raramente. Buongiorno, grazie: salutarsi, esprimere gratitudine e rispetto sono sempre più rare e difficili da tirar fuori. Nel mondo del food, poi, lo sperimentiamo tutti ogni giorno. Non si tratta di buona educazione ma di educazione. Le parole tirano fuori i nostri pensieri e rappresentano il nostro stile».
Chef Filippo Saporito, presidente JRE
«Imparare ad ascoltare è veramente uno dei punti fondamentali delle relazioni umane. All’interno della cucina, l’atmosfera è non di rado tesa e carica. Nel mio ristorante ho cercato di smussare queste tensioni proprio applicando questo principio. Sono convinto che se vuoi offrire eccellenza ai tuoi clienti, devi partire proprio da come ti rapporti con i tuoi dipendenti».
Anna Martano, giornalista e prefetto per la Sicilia dell’Accademia Italiana della Gastronomia
«Possiamo dire che anche il cibo, esattamente come le parole, è condivisione, avvicinamento e racconto. Ogni ricetta, ogni piatto tipico racconta un’identità e una cultura. Se questo punto del manifesto fosse un cibo, sarebbe un cous-cous, il grande piatto che accomuna le tre religioni e i popoli del mediterraneo».
Eleni Pisani, chef di cucina mediterranea e blogger
«Le parole proprio come il cibo, hanno un sapore e una consistenza e possono contaminare: verbo che usiamo nella cucina e che ha un’accezione molto positiva. Contaminazione e creatività, proprie delle parole, sono un mezzo per avvicinare le persone. Ho viaggiato tantissimo per il mio lavoro e spesso mi è capitato di non conoscere la lingua del Paese in cui mi trovavo. Ma la prima parola che chiedevo o che mi veniva chiesta era “come si dice grazie nella tua lingua?”: il primo segno di rispetto reciproco, saper ringraziare».
Silvia Fissore, giornalista e media relation manager del Festival del Giornalismo Alimentare
«Il controllo dei fatti e la verifica delle fonti sono parte fondamentale del lavoro giornalistico. Durante la Pandemia, l’88% degli italiani ha cercato informazioni su cibo e salute proprio su Internet. Questo dato ci fa riflettere e chiarisce molto bene l’importanza di un lavoro di verifica e controllo delle informazioni che pubblichiamo e condividiamo».
Vatinee Suvimol, avvocato e food blogger
«Come avvocato sono abituata a contrappormi alla mia controparte, ma sempre nei termini di reciproco rispetto. Come food blogger mi espongo tutti i giorni, ma chi la pensa diversamente da me non diventa mai un nemico. Come mamma, infine, insegno sempre a mia figlia a rispettare le persone e le loro idee».
Matteo Musacci, vice presidente FIPE
«Il mio lavoro è quello di tutelare gli interessi della mia categoria, in trattative spesso accese e concitate. Ho presto compreso che aumentando il volume dei toni non sempre si vince; né avvalori la tua tesi con insulti o mancanza di rispetto. Ho compreso che chi alza la voce lo fa perché non ha idee e pone la forza verbale e la prevaricazione come unico indice valoriale. L’insulto fa il paio con l’ignoranza. E chi ingnora, alla lunga, è destinato all’oblio. »
Alberto Marchetti, maestro gelatiere e formatore
«Essere gelatiere mi ha insegnato a dosare anche le parole, non solo gli ingredienti. Non amo la comunicazione a tutti i costi soprattutto se può trarre in inganno il consumatore. Parlo e racconto solo se sono certo delle informazioni, ma se qualcosa non mi convince non accetto di farmene portavoce sui social e tanto meno nella vita quotidiana. In questo anno difficile ho preferito agire e fare sinergia, invece di amplificare con le parole il malcontento e la negatività. Applico lo stesso principio ai social: se non ho nulla di nuovo e di sostanza da comunicare, scelgo il silenzio».