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La rinascita del Garofanata: le Marche riscoprono un vitigno dimenticato

Sembrava sparita, ma grazie a un lungo lavoro di ricerca condotto dall’ASSAM – Agenzia Servizi al Settore Agroalimentare delle Marche – questa vite autoctona marchigiana sta conoscendo una nuova stagione. Resistente e con una particolare carica aromatica, l’uva che produce si presta molto bene alle differenti esigenze di vinificazione

Garofanata: caratteristiche del vitigno riscoperto nelle Marche
Grappoli di Garofanata (Foto © ASSAM).

È indubbio che i cambiamenti climatici stanno influenzando anche le scelte produttive del settore agricolo, orientando gli operatori verso la riscoperta di specie vegetali autoctone e antiche, che sembrano manifestare – oltre a peculiari caratteristiche organolettiche – anche una buona propensione alla resilienza.

È il caso del vitigno Garofanata, un’antica varietà d’uva a bacca bianca originaria della Regione Marche, di cui si erano perdute le tracce. Grazie al meticoloso, e quasi filologico, lavoro di ricerca portato avanti dall’ASSAM, Agenzia Servizi al Settore Agroalimentare delle Marche, oggi questo vitigno non solo è stato recuperato, ma sta conoscendo una nuova stagione di rinascita. Ne parliamo con Giuseppe Camilli, enologo e referente di ASSAM, e con Luca Renzi e David Pettinari, tra i primi produttori marchigiani che hanno scommesso su questa varietà e che puntano sul biologico e sulle bollicine.

Garofanata: caratteristiche del vitigno riscoperto nelle Marche
Borgo di Moresco, in provincia di Fermo (Foto © Silvia Fissore).

Dall’oblio alla riscoperta: storia di un “finto moscato”

«Il vitigno Garofanata, nella vulgata degli anziani conosciuto anche come Moscato bastardo per gli aromi che ricordano moltissimo l’omonima uva, ricompare dopo anni di oblio agli inizi del 1980, in un vecchio vigneto dell’area di Corinaldo, in provincia di Ancona, dove un tempo sembra avesse avuto una certa diffusione.» spiega Giuseppe Camilli.

L’aspetto interessante è che l’uva non risulta citata nei vecchi repertori ampelografici regionali, sebbene tracce bibliografiche della sua presenza sul territorio marchigiano sono state recuperate in un vecchio dattiloscritto del 1962, redatto sotto forma di appunti da Bruno Bruni che operò a lungo nelle Marche occupandosi di ampelografia. Il Bruni, infatti, segnala la “Garofalata” come sottovarietà di Moscato bianco, denominazione divenuta oggi, nel dire comune Garofanata.

Tuttavia, nei tre Censimenti dell’Agricoltura, condotti dall’ISTAT tra il 1970 e il 2000, non sono mai state rilevate superfici vitate con questo vitigno.

«Più di recente sono state ritrovate vecchie accessioni geneticamente riconducibili a Garofanata anche nell’alto maceratese nella zona di Serrapetrona, Muccia e Matelica a testimonianza dell’antica diffusione di questo vitigno sul territorio regionale» – spiega Giuseppe Camilli. – «Recenti indagini genetiche, oltre ad attestare l’esclusività di questo vitigno – prosegue l’enologo – hanno messo in evidenza la sua discendenza dal vitigno Crepolino/Visparola a sua volta capostipite di numerosi vitigni del centro/sud Italia. Pertanto è geneticamente ben lontano dalla famiglia dei Moscati seppure le caratteristiche aromatiche potrebbero ricondurre erroneamente alla stessa». 

Vigneti dell’azienda Castrum Morisci a Moresco (Foto © Silvia Fissore).

Il lavoro di recupero del vitigno Garofanata

Grazie all’azione di recupero e di caratterizzazione da parte dell’agenzia Regionale ASSAM, dopo lunghi ed approfonditi anni di studio, nel 2014 il vitigno Garofanata è stato iscritto ufficialmente nel Registro nazionale delle varietà di vite del MIPAAF e tra le varietà idonee alla coltivazione nella regione Marche.

«Garofanata, unitamente a Vernaccia Nera e Lacrima, è oggi considerato un vitigno autoctono esclusivo del territorio marchigiano che non trova coltivazione e/o sinonimie in nessun’altra regione d’Italia» spiega l’enologo Camilli. «Siamo pertanto convinti che il vino Garofanata possa contribuire in maniera importante a differenziare le produzioni locali in virtù delle sue caratteristiche qualitative. Il vitigno, poi, si adatta molto bene ai diversi territori regionali, sopporta molto bene anche gli stress climatici e produce uve, e quindi vini, con caratteristiche assolutamente peculiari dal punto di vista aromatico.

Chi sono i produttori interessati al Garofanata

Oggi, seppure di recente introduzione, il vitigno Garofanata sta suscitando l’interesse di numerose aziende vitivinicole, vista la qualità dei vini che si ottengono, anche se la superficie totale sul territorio regionale, al momento, è ancora limitata ad appena 10 ha circa.

Azienda Agricola Castrum Morisci

Tra i primi produttori a scommettere sul recupero del Garofanata ci sono Luca Renzi e David Pettinari dell’azienda Agricola Castrum Morisci sulle colline di Moresco, antico borgo medievale in provincia di Fermo, a pochi km dal mare.

Luca Renzi di Castrum Morisci con due operai che lavorano alle vigne dell’azienda (Foto © Silvia Fissore).

L’azienda attualmente coltiva 7 ha di vigneti in regime biologico per una produzione complessiva annua di circa 50 mila bottiglie di cui 3.500 sono proprio di vino Garofanata. La scelta dei due viticoltori, fin dalla costituzione dell’azienda nel 2016, è stata quella di puntare primariamente su vitigni autoctoni e tecniche di lavorazione innovative come, ad esempio, la vinificazione in anfore di terracotta. Per questo Luca e David hanno accettato da subito la sfida di reimpiantare un vecchissimo esemplare di vitigno Garofanata su alcuni terreni collinari e argillosi della loro proprietà, a un’altitudine di circa 200 metri slm e con esposizione a est.

Oggi i due imprenditori sono a pieno titolo “viticoltori custodi” e fanno parte del progetto di recupero del vitigno avviato dalla Regione Marche.

Un nuovo spumante dalle colline marchigiane

«Il Garofanata era un vino dimenticato, ma che siamo convinti sia destinato a diventare uno dei fiori all’occhiello della produzione enologica marchigiana, al pari dei ben più noti Passerina e Pecorino. – affermano i due viticoltori – L’Uva, che si caratterizza per lo sviluppo di sentori fruttati e speziati, ha una carica aromatica che si presta molto bene alla spumantizzazione, per questo abbiamo scelto di puntare su una produzione limitata di spumante extra dry biologico metodo Charmat».

La vendemmia è a fine agosto e viene effettuata manualmente in piccole casse con selezione in campo dei grappoli. Seguono una lavorazione delle uve a freddo, la decantazione statica e la fermentazione in acciaio. L’affinamento è “sur lie” per circa 6 mesi.

«Lo spumante può essere servito a una temperatura di 12 gradi circa ed è perfetto per accompagnare antipasti, finger food, come le classiche olive all’ascolana o, perché no, una pizza gourmet.

Ancora Luca Renzo nella sua azienda (Foto © Silvia Fissore).

Le caratteristiche dell’uva Garofanata

«Negli ultimi dieci anni, dalle uve della varietà “Garofanata” e dall’interesse dei produttori dell’area dei Castelli di Jesi, ha preso il via una serie di valutazioni atte a caratterizzare il suddetto biotipo sia sotto l’aspetto morfologico sia dal punto di vista genetico» spiega ancora Giuseppe Camilli.

Il grappolo maturo risulta medio-piccolo (g 150-220), di forma piramidale, tendente al compatto; il peduncolo è corto e semilegnoso. L’acino è medio o medio-grande (g 2,40), non uniforme, ovoide, verde dorato, o tendente al dorato nel caso di prolungata esposizione al sole. La buccia è di medio spessore, la polpa è incolore, succosa, e leggermente aromatica a maturità, con tipici sentori che ricordano vagamente quelli del Moscato. Aromi primari che, se ben protetti, molto spesso si ritrovano nel vino.

«Quest’ultimo – spiega l’enologo – si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdastri. Generalmente al naso è molto intenso e complesso con tipiche note di fiori bianchi e frutta matura, cui si aggiungono alcune conturbanti note speziate. In bocca risulta di media struttura, fresco, persistente, con note retrolfattive di erbe aromatiche. Si contraddistingue per una piacevolezza di beva oltre che per una serbevolezza che ne consente anche una interessante evoluzione nel tempo».

Si può affermare, dunque, che si tratta di un vitigno molto duttile che si presta a numerose sfaccettature in vinificazione.

«C’è chi decide di farne un bianco fermo, chi preferisce farne la versione spumantizzata e chi preferisce produrre la versione evoluta in legno (un esempio è il Vellente di Villa Lazzarini, a Treia in provincia di Macerata; ndr)».

Vellente di Villa Lazzarini (Foto © Silvia Fissore).

Consigli per una degustazione e abbinamenti suggeriti

In cucina il vino Garofanata può accompagnare antipasti di pesce oppure di carne, così come primi piatti dotati di una certa succulenza. Ideale sul brodetto di pesce oppure sullo stoccafisso con patate. In virtù del suo profilo aromatico può essere indicato anche nelle varie tipologie di cucina etnica speziata. La temperatura di servizio consigliata dai produttori oscilla tra gli 8 e i 12 gradi.

«In questo momento può incontrare favorevolmente le attuali richieste di mercato, perlomeno nazionali, che prediligono vini bianchi, freschi, profumati e di media struttura. Ipotizzo senz’altro una crescita dell’interesse rispetto a questo vitigno nei prossimi anni che potrà contribuire a completare la gamma produttiva delle produzioni dei vini bianchi marchigiani accompagnando le già affermate ed indiscusse produzioni del Verdicchio declinato nelle denominazioni d’origine Verdicchio dei Castelli di Jesi e Verdicchio di Matelica» conclude Giuseppe Camilli.

Segnaliamo qui i viticoltori che attualmente coltivano Garofanata:

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Silvia Fissore

Milanese sotto la Mole, giornalista e pr. Nel 2007 sono entrata nel food come addetta stampa, col lancio di FoodLab, scuola di cucina torinese tra le prime a estendere l'impostazione professionale ai corsi amatoriali. Seguo l’ufficio stampa del Festival del Giornalismo Alimentare. Di Milano conservo la mente aperta e lo snobismo, a Torino devo la capacità di riflettere e ripartire da zero.

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