«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita».
Così scriveva J.W. Goethe nel 1817 nel suo “Viaggio in Italia” parlando della Sicilia e non si potrebbe spiegare meglio il fascino e la ricchezza di proposte dell’isola italiana più grande del Mediterraneo.
La Sicilia va visitata più di una volta per scoprire le sue inesauribili attrazioni; è una regione che, seppure con i suoi atavici problemi, è un mosaico di arte, cultura, storia, tradizioni, natura, mare da sogno e belle spiagge. Non fa eccezione l’eccellente enogastronomia che riflette e racchiude tutti questi aspetti, diventando essa stessa motivo di attrattività turistica.
Come raggiungere la Sicilia
Raggiungere la Sicilia è facile e nemmeno dispendioso a meno che non si decida di prenotare all’ultimo momento. Durante tutto l’anno, infatti, dai principali porti italiani partono collegamenti giornalieri per le principali destinazioni siciliane.
Per orientarsi tra le compagnie di navigazione disponibili e individuare le tariffe più convenienti per Palermo, Termini Imerese, Catania e Messina si può utilizzare un sito molto comodo: www.traghetti-sicilia.it. Si può decidere di partire dal nord Italia (porto di Genova), dal centro (scali di Livorno e Civitavecchia) oppure dal sud (porti di Napoli, Salerno, Villa San Giovanni e Reggio Calabria); arrivati sull’Isola, inizierà un’avventura che lascerà con il fiato sospeso.
Cucina siciliana, una tradizione millenaria
La cucina siciliana è il risultato di condizioni pedoclimatiche, che offrono una grande varietà di prodotti tipici, e di una storia millenaria nel corso della quale si sono alternati tanti popoli che hanno lasciato la propria eredità anche a tavola. Le tradizioni locali, il folklore, la religiosità e la creatività dei siciliani hanno fatto il resto dando vita a piatti ricchi, colorati, profumati e succulenti divenuti celebri nel mondo.
Oltre agli ingredienti portati dai Greci, dai Romani o dagli Arabi, infatti, la Trinacria è una regione rigogliosa e fertile che abbonda di prodotti di mare e di terra di altissima qualità: pesce, olio, pasta, frutta e verdura, spezie, erbe aromatiche, formaggi, vini e tanto altro, trasformano la tavola in un affresco che ricorda i capolavori variopinti degli impressionisti.
Spesso la medesima ricetta assume caratteristiche diverse anche a pochi chilometri di distanza, segno che, in qualunque angolo del territorio, ci sono sapori da scoprire e che ammaliano il palato. La maggior parte dei piatti tipici sono diventati noti in tutto il mondo per la loro bontà e perché veicolati dalle emigrazioni dei siciliani nel corso dei secoli. Pensiamo ai cannoli siciliani, alla cassata, alla frutta martorana, alla granita, alle panelle, agli arancini di riso, alla pasta con le sarde o alla caponata, solo per citarne alcuni visto che si potrebbe continuare per intere pagine.
Ricette storiche siciliane: 4 piatti antichi e intramontabili
Concentriamoci su quattro ricette storiche siciliane che non sono passate di moda e presenziano le tavole dell’intera Italia e del mondo: le panelle, la caponata, la pasta alla norma e le sarde a beccafico.
Panelle siciliane: storia e ricetta
Trionfo della semplicità e cucina povera elevata ad immancabile street food, le panelle sono delle frittelle di farina di ceci tipiche della cucina palermitana ma preparate anche a Trapani, Agrigento e Caltanissetta.
Le origini sono antichissime e risalgono all’epoca della dominazione araba, tra il IX e l’XI secolo. I ceci, d’altra parte, erano diffusi già all’epoca della Roma Imperiale e consumati anche dai greci, soprattutto nel continente indiano. Furono portati in Sicilia dai Saraceni che iniziarono ad impastare la farina estratta dai legumi con l’acqua e ottenero un composto cotto sul fuoco. Con il tempo, la ricetta fu perfezionata e la sfoglia divenne più sottile fino a quando, in epoca medievale, si iniziò a friggerla nell’olio usato per altre pietanze in modo che le panelle assorbissero ulteriore sapore.
La diffusione delle frittelle risiede nel fatto che, oltre ad essere saporite, sono ricche di carboidrati e proteine e quindi, storicamente, divennero un alimento delle classi meno abbienti che non potevano permettersi carne, pane, pasta e pesce.
Da sole o all’interno delle Mafalde o Muffolette – tipico pane siciliano cosparso di semi di sesamo – fanno parte del folklore palermitano e i Maestri “panellari” le hanno servite anche a personaggi illustri come Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giovanni Guttuso e famose personalità interzionali.
Cucinare le panelle è molto semplice. Si procede ad impastare 500 grammi di farina di ceci con 1.5 l di acqua, sale, pepe e prezzemolo tritato. Ottenuta una pasta cremosa, essa viene spianata, tagliata a fette e fritta.
Caponata siciliana, semplicità e gusto
La caponata è un insieme di ortaggi tagliati nelle stesse dimensioni che vengono fritti e poi conditi con cipolla, sedano, sugo di pomodoro, olive, capperi e una salsa agrodolce. Conosciuta fin dal XVIII secolo come piatto unico insieme al pane, oggi è più un contorno o un antipasto.
L’etimologia della parola non è ben chiara e le interpretazioni sono diverse e tutte antiche. Secondo alcuni l’origine del nome risale ai Greci ed in particolare a “captos” o “capto” che significa “tagliato” in collegamento alla modalità di ridurre gli ortaggi in pezzi da friggere. Altri ritengono che derivi dallo spagnolo “caponada“, che ha lo stesso significato del piatto italiano, e altri ancora a “caponata” o “capone” nome con cui, in alcune zone della Sicilia, si chiama la lampuga, un pesce pregiato che era l’ingrediente di una versione aristocratica e costosa della caponata. Infine non si esclude un collegamento con “caupone” ossia le taverne dove si riunivano i marinai per bere vino e mangiare un pezzo di pane tostato condito con aglio, olio, olive, capperi e acciuga.
Non esiste un’unica ricetta della caponata perché, in tutta la Sicilia, se ne contano circa 37 versioni ed inoltre è diffusa in tutto il Mar Mediterraneo. Riporteremo quella palermitana che inizia con la frittura delle melanzane.
Successivamente, nello stesso olio, vengono soffritti cipolla e sedano a cui si aggiungono salsa di pomodoro, olive verdi, capperi, basilico e la salsa agrodolce realizzata con aceto e zucchero. Molti uniscono anche pinoli e mandorle tostate e grattugiate.
Pasta alla norma: sapete perchè si chiama così?
Melanzane, ricotta affumicata e basilico fresco sono i pochi ingredienti della pasta alla norma, un piatto semplice ed emblematico della cucina siciliana.
Le sue origini non sono certe ma è sicuramente un piatto antico e nato dalla creatività delle classi popolari, visto il costo contenuto degli ingredienti. La differenza tra la pasta alla Norma catanese e la Norma messinese risiede nelle modalità con cui si tagliano le melanzane, a fette nella prima versione e a cubetti nella seconda.
L’origine del nome è un punto che alimenta almeno tre diverse interpretazioni. La prima è collegata al modo di dire “A norma” per intendere che qualcosa è fatta bene. Chi vuole, invece, cercare l’etimologia nella storia fa risalire il nome all’opera omonima composta dal musicista catanese Vincenzo Bellini (1801-1835) che riscosse tanto successo da indurre i cittadini a dare lo stesso nome al piatto di pasta. Infine l’ultima versione attribuisce l’invenzione allo scrittore e sceneggiatore catanese Nino Martoglio (1870-1921) che definì la ricetta una “Norma” perché caratterizzata dalla perfezione.
Cucinare un piatto di pasta alla norma può rappresentare un successo anche per chi non è esperto in cucina. In una padella con abbondante olio extravergine di oliva, far indorare le fette o i cubetti di una melanzana; quindi trasferirli su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso.
In un’altra padella scaldare 3-4 cucchiai di olio extravergine di oliva con due spicchi d’aglio; aggiungere 400 grammi di pomodori pelati, il basilico fresco e il sale. Far cuocere per circa 20 minuti a fiamma bassa.
Cuocere la pasta al dente (300-400 grammi), scolarla e versarla nel sugo per terminare la cottura. Aggiungere la melanzana precedentemente fritta e 80 grammi di ricotta salata grattugiata.
Sarde a beccafico
Palermo, Messina e Catania sono le province dove maggiormente le sarde a beccafico rappresentano un sontuoso antipasto, un secondo piatto oppure un finger food da acquistare nelle friggitorie cittadine o nei mercati come la Vucciria.
Si preparano cuocendo in forno delle sarde arrotolate e ripiene di una farcitura a base di pan grattato, aglio e prezzemolo tritati, uva sultanina, pinoli, sale, pepe e olio d’oliva.
Il nome del piatto deriva da beccafico, un uccello che in passato veniva cacciato dai nobili che poi lo consumavano con un ripieno realizzato con le viscere e le interiora dello stesso volatile. Ovviamente era un piatto troppo costoso per il popolo che lo imitò sostituendo alla carne le sarde e creando un ripieno con molliche di pane, pinoli e altri ingredienti di volta in volta disponibili.
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