La fisionomia di questo vino si consolida a fine ‘800, quando l’enologo Domizio Cavazza completa la prima classificazione dei cru. Ma la sua storia è fatta anche dalla fatica e dalla tenacia delle moltissime famiglie di viticoltori della zona. E, tra coloro che hanno creduto fin dall’inizio nel potenziale di quelle terre, c’è l’azienda vitivinicola Bruno Rocca di Rabajà
Per capire la complessità di un vino come il Barbaresco è fondamentale avere davanti una mappa della zona in cui è delimitata la sua DOCG.
Ciò che per prima cosa colpisce è la minuscola porzione che questo territorio rappresenta all’interno del Piemonte. La denominazione, infatti, è tutta racchiusa entro quattro comuni delle Langhe: Treiso, Alba, Neive e l’omonimo Barbaresco. Qui i vigneti si estendono rigogliosi fino alla pianura solcata dal fiume Tanaro, che regala alle colline una circolazione dell’aria costante, indispensabile per l’uva Nebbiolo. A fare il resto ci pensano la giusta altitudine, l’esposizione al sole e un substrato dove domina la Marna di Sant’Agata.
Cantina Bruno Rocca a Barbaresco, i grandi vini delle Langhe
In queste zone, per le aziende agricole come quella di Bruno Rocca, fare il vino è una “questione di famiglia”, visto che la coltivazione di questi vigneti si tramanda di padre in figlio dalla metà del XIX secolo.
In quello stesso periodo un grande enologo, Domizio Cavazza, già direttore della Scuola di Alba, intuisce il potenziale di questo microclima unico. E così, nel 1894, completa la prima classificazione dei cru di Barbaresco, al fine di difendere la tipicità di questa produzione affiancandola all’altro grande vino di queste terre, il Barolo, che nasce sempre da uva nebbiolo ma che si distingue per la diversa esposizione dei vigneti.
«Documenti notarili attestano la presenza della nostra famiglia nel comune di Barbaresco a partire dal 1834, individuando il capostipite Francesco come “agricoltore e proprietario di siti e vigne”» spiega Luisa Rocca, che oggi nell’azienda di famiglia si occupa del marketing e dell’export con una visione dinamica e molto manageriale.
Ad affiancare Luisa c’è il fratello Francesco, che come i suoi antenati è soprattutto “uomo di vigna”: è lui che gira avanti e indietro per i vigneti e che supervisiona in cantina l’andamento della produzione integrando la tradizione con nuove intuizioni e con una forte propensione verso la ricerca delle migliori tecnologie.
Il Rabajà di Bruno Rocca
«Bisogna attendere la fine degli anni ’50 del secolo scorso – continua Luisa – perché la nostra storia si leghi inestricabilmente a quella del più celebre cru di queste colline: il Rabajà. In quegli anni, infatti, un altro Francesco della famiglia, mio nonno, decide di lasciare il comune di Barbaresco e di comprare un piccolo podere in campagna, la Cascina di Rabajà, annessa a un terreno già era noto a tutti per l’incredibile qualità delle uve e dei vini qui ottenuti».
Il suolo, infatti, è caratterizzato da marne tufacee bianche e marne grigio-bluastre che donano ai vini profumi ed emozioni di carattere, dando vita ad etichette di livello assoluto che durano nel tempo.
Ma il passaggio definitivo, nella storia della Cantina Bruno Rocco a Barbaresco, è compiuto dal figlio Bruno: manager in Ferrero non resiste al richiamo della terra e poco alla volta acquista i migliori cru della zona, aggiungendoli a quelli del padre, fino a quando nel 1978 non firma la prima vendemmia di Rabajà.
Attenzione alla qualità e alla valorizzazione del cru di famiglia
Da subito Bruno si pone l’obiettivo di innalzare la qualità dei vini prodotti e di valorizzare il cru di famiglia. Viaggia così in Borgogna, per studiare con attenzione e umiltà. Al suo ritorno ripensa radicalmente la gestione del vigneto e del lavoro di cantina, non più intesi a massimizzare le quantità, ma studiati per esaltare il carattere distintivo di un vino che deve essere “leggero come una piuma, importante come la scrittura” come dichiara ancora oggi il claim delle etichette.
Dal Currà, vini raffinati da una lavorazione paziente
L’altro pregiato cru dell’azienda è il Currà, che deriva dal piemontese “curà” ossia vice-parroco, perché questi terreni un tempo erano di proprietà della Curia (che le terre le sapeva scegliere!).
Definito da un terreno calcareo-argilloso con Marne di Sant’Agata e pietrisco di arenaria, dà origine a vini di una raffinatezza assoluta. Le note minerali si mescolano perfettamente con quelle della rosa canina e del pepe bianco. Decisamente diverse da quelle più terrose ed erbacee del Rabajà dove invece le stratificazioni sabbiose del cru generano profumi di liquirizia e pepe nero. La vinificazione delle riserve avviene in botti di legno e poiché gli acini non vengono rotti (per preservarne al massimo le qualità organolettiche) la macerazione ha tempi più lunghi.
«Oggi la nostra azienda agricola è proprietaria di circa 14 ettari che comprendono oltre ai ricercatissimi cru Rabajà e Currà anche il Fausoni, il San Cristoforo, il Marcorino e il Vaglio serra, per una produzione annua di 75 mila bottiglie di cui 55 mila di Barbaresco – spiega Bruno Rocca orgoglioso. – Il 60 % della produzione raggiunge principalmente Australia, Giappone, Svizzera e UK».
Decisamente di strada ne è stata fatta tanta dai tempi del capostipite Francesco. Oggi alla nuova generazione, rappresentata da Luisa e il fratello Francesco spetta «il compito di rinnovare la fedeltà alla nostra storia e al territorio d’origine. Un lavoro che passa attraverso il rispetto della terra e la valorizzazione dei suoi vitigni il cui vino è frutto dell’incredibile equilibrio tra ritmo della natura e lavoro dell’uomo» conclude Bruno.
Bruno Rocca | Azienda Agricola Rabajà
Strada Rabajà 60 – Barbaresco (CN)
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