Il giovane chef Stefano Sforza porta la sua cucina istintiva, concreta e d’essenza al Ristorante Les Petites Madeleines, il ritrovo gourmet che non ti aspetti a pochi passi dalla Stazione centrale di Torino.
Immagini di libri di storia che paiono animarsi e memorie che improvvisamente si riaffacciano. È questa la sensazione che si prova nel concedersi un’esperienza completa presso il Turin Palace Hotel e il ristorante interno Les Petites Madeleines.
Nel cuore di Torino, l’hotel storico campeggia ricordando la sua lunga storia, il suo essere stato testimone di correnti di pensiero, di fermenti culturali di fine Ottocento, del passaggio di illustri personalità. Guglielmo Marconi, Louis Armstrong e Maria Callas sono solo alcuni tra i più noti ad aver soggiornato in una struttura da poco riaperta al pubblico, dopo un restauro capace di riportare in luce l’anima autentica del luogo. Tra le sale ed arredi d’antan, infatti, si ha l’impressione che riviva un passato non così prossimo, grazie ai colori e all’atmosfera complessiva, assai curata nel dettaglio.
Accomodandosi al ristorante, si coglie il motivo del rimando proustiano (alla madeleines), scrutando le sale ed il menu dello chef patron Stefano Sforza. Classe 1986, si forma presso l’Istituto Alberghiero di Lanzo e presso importanti cucine, tra cui il Bellevue di Cogne e Il Cambio di Torino. La sua è una cucina di ricordi, riletta in chiave intelligente e con il know-how acquisito negli anni; è uno stile rigoroso nella selezione della materia prima, curato nella tecnica, “caldo” nell’evocare ricette piemontesi e sapori di infanzia, ben dosato negli equilibri.
La mano, capace ed attenta, infatti, lascia una firma riconoscibile in ogni piatto, dai più classici ai più innovativi.
Non mancano, dunque, proposte figlie dell’innata curiosità e del desiderio di aprirsi a nuovi stimoli del giovane chef: la sua cucina rappresenta appieno l’indole piemontese e una continua ricerca, quel fermento tipico di un “ragazzo”, da cui nascono preparazioni gustose, dettate da un “fare” sicuro e da una mente “viva”.
L’intervista allo chef Stefano Sforza
Cosa ha significato per te iniziare l’esperienza del Turin Palace Hotel?
Innanzitutto, sono stato felicissimo della riapertura di un albergo storico, di grande importanza per la città di Torino e non solo. Lavorare nelle cucine di un hotel non è mai semplice, in quanto è necessario unire alla linea gourmet e fine dining, una flessibilità di orari e capacità di gestione delle numerose e variegate richieste dei clienti nelle diverse aree: dal room service alle colazioni.
Cosa ti sta insegando questa esperienza?
Di certo, la flessibilità, calma e la necessità imprescindibile di motivare il mio team, per lavorare assieme con assoluta serenità ed efficienza. I ragazzi hanno desiderio di crescere e di formarsi sul campo ma devo saper contenere il loro entusiasmo per convogliare al meglio le energie.
Come riesci a fidelizzare la clientela locale e quella di passaggio?
Cercando di trasmettere il lavoro di ricerca fatto e i continui miglioramenti che siamo in procinto di inserire: puntare sulla qualità, sulla materia prima per quanto possibile locale; valorizzare un albergo storico anche attraverso una cucina dello stesso livello. Sono indispensabili periodici e frequenti briefing con il personale allo scopo di comprendere quale piatti sono maggiormente apprezzati e quali, invece, presentano talune criticità; cosa la clientela preferisce, cercando tuttavia di trasmettere la nostra identità.
Ho visto nel menu diversi piatti con l’ostrica…
Si, alcuni prodotti non sono locali ma si scoprono lavorandoli. Al presente, sto lavorando molto sull’acidità e l’ostrica mi aiuta ad alleggerire talune salse o preparazioni anche di cucina piemontese. Non credo che l’acidità sia un motivo di squilibrio del piatto, se sapientemente gestita all’interno di un percorso degustativo studiato ad hoc e fatto di alti e bassi.
Quanto conta per te la tradizione?
Tanto, come del resto in ogni italiano…lo abbiamo nel sangue. Per la realizzazione di un piatto, parto spesso dalla tradizione.
Rispetto al tuo precedente stile, hai cambiato qualcosa?
A Les Petites Madeleines posso presentare un’evoluzione di quanto imparato negli anni, nel senso che ho maturato un’idea di cucina del togliere: non punto a troppi ingredienti nel piatto, ma alla nettezza dei sapori, alla pulizia del gusto e della presentazione. Ad esempio, adoro utilizzare piatti grandi per le ricette e divertirmi nella stratificazione degli ingredienti.
Come definiresti la tua cucina?
Istintiva, concreta e d’essenza, nel senso che nasce dal mio animo ed è fatta di poche materie prime.
Esiste uno chef cui ti ispiri o del quale condividi molto?
Mi piace molto la filosofia di Luigi Taglienti.
Cosa non può mancare per te in un’esperienza a tavola?
L’emozione da lasciare al cliente.
Passione, tecnica e tradizione: come si combinano per te in un piatto e cosa conta di più?
Credo la passione sia alla base di tutto, in quanto senza di essa non saresti disposto ai sacrifici di questo mestiere. Ritengo che la tradizione pesi al 60% ed il resto, invece, sia il ruolo della tecnica.
Cosa è per te la tecnica?
Precisione, ordine e pulizia; è proprio il rigore e la precisione che aiutano a crescere.
Cosa hai portato qui delle tue precedenti esperienze?
Tutto il bagaglio appreso nelle varie cucine frequentate, Alain Ducasse per primo che mi ha trasmesso il ruolo cardine e il rispetto della materia prima, l’importanza di gestire una squadra, le responsabilità connesse e la necessità di lottare. E senza questo, senza i suoi insegnamenti, credo non sarei qui al Turin Palace Hotel.
Del menu, abbiamo assaggiato piatti più di impostazione tradizionale ed altri più innovativi. Tra i primi, il famoso spaghetto al pomodoro, interessante nella gestione dell’aromaticità e delle tipologie di pomodoro impiegate, nonché delle tecniche di lavorazione, capace di lasciare inalterata cromia e gusto degli ingredienti, smorzandone l’eccessiva acidità. Tra i secondi, invece, colpisce il risotto alle vongole e yuzu, mantecato al burro di bufala, caratterizzato dalla perfetta cottura del chicco, grazie alla quale la freschezza conferita dallo yozu si accompagna armonicamente alla sapidità del mitile e alla delicata nota ammandorlata del burro.
A pochi passi dalla stazione Centrale di Torino, non resta che dimenticarsi della valigia e godersi un’esperienza dal gusto marcatamente piemontese, rielaborato dalla mentalità “viva” e mano capace di Stefano.
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