Dal 24 al 29 giugno, a Roma, si è svolto Birròforum, il grande Festival della birra artigianale e del cibo da strada, con oltre 6.000 mq tutti da gustare. Ci siamo stati e vi raccontiamo la nostra esperienza.
Quaranta birrifici artigianali, venti artigiani del cibo da strada, quindici buyer provenienti da Svizzera, Gran Bretagna, Canada, Giappone, Cina, Brasile e Paesi del Nord Europa grazie alla collaborazione con Assobirra e Ice, ma anche corsi di degustazione, di “educazione” alla birra con Unione Degustatori Birre, e infine un’area dedicata ai campionati europei di calcio. Target principale di visitatori, gli under trenta consumatori e degustatori affezionati. In sintesi, Birroforum.
Mi sono detta, vado anch’io. Anch’io che non sono né esperta o degustatrice abituale di birra, né amante delle folle di giovani assetati che prevedevo, a ragion veduta, di trovare. Un po’ invogliata dalla location a due passi dal centro di Roma, un po’ spinta dalla curiosità per il mondo della birra che oggi sta crescendo a dismisura, pur essendo la birra una delle bevande più antiche prodotte dall’uomo (parliamo del settimo millennio avanti Cristo). Non a caso si dice che se il vino sia stato il nettare degli Dei, la birra potrebbe diventare il nettare degli uomini.
Già all’ingresso, ho avuto conferma del timore delle folle (di cui sopra). Voci, suoni, sorrisi, risate, colori. Tutt’altro che rumore. Era un’esplosione di vitalità giovanile, per nulla invadente ma, al contrario, coinvolgente.
“Sei sola?” mi chiede uno dei titolari del primo birrificio in cui mi imbatto, il pugliese Sancti Marci, uno dei pochi “fuori regione” presenti all’evento, mentre è già pronto ad avviare il rito della spillatura per riempirmi il calice. Gli sarà parso strano perché la birra, va da sé, è da condividere: va bevuta in compagnia. Tra le motivazioni al consumo di birra, sia a pasto che fuori pasto, a parte il 50% degli italiani che ritiene gradevole e in misura minore dissetante la bevanda, risulta che due persone su dieci la vedano come un momento di condivisione con gli amici.
“Si, sono sola”. Ho aggiunto: “Poca, mi raccomando, non riempirmi il bicchiere come fai con gli altri. Voglio solo assaggiare”. Avrei voluto sbilanciarmi dicendo che le avrei provate tutte. In poche sarebbe stato impossibile, perché ogni birrificio presente aveva almeno tre birre alternative da proporti.
Così è iniziato il mio viaggio di una sera tra malti, luppoli, lieviti e acqua che, nella birra, fa la differenza visto che ne rappresenta dall’85 al 92% del prodotto. La qualità dell’acqua, ricca di sostanze minerali e organiche, la rende grande o speciale.
Un viaggio nel quale ho scoperto innanzitutto che, con le dovute specificità, i mastri birrai sono per lo più giovani, giovanissimi. Figli di una generazione in cui la comunicazione detta le regole, famelici di raccontarti la loro impresa, il loro percorso, i loro obiettivi. Ambiziosi, nella maggior parte dei casi. Sono imprenditori avventori e improvvisati alcuni, inconsapevoli talvolta dei rischi che comporta avere un’impresa. In alcuni casi più prudenti, quando ad esempio scelgono di lanciarsi sul mercato come Beerfirm, ovvero produrre la propria birra pur non avendo nessun impianto di proprietà.
Il Mastro birraio si rivolge a un birrificio – nel Lazio ce ne sono diversi – commissionandogli la propria birra, e a volte senza partecipare al processo “creativo”, mentre altre volte, prende il posto del proprietario del birrificio stesso. E comunque, al di là dell’approccio, non si spaventano certo, puntano ai mercati italiani prima di tutto con determinazione e con grinta. Puntano ad una ricerca del prodotto che incontri e assecondi il più possibile la clientela, cercando di accattivare a partire dall’etichetta. Identità visiva che, ad esempio, nel mondo del vino è arrivata molto tardi. Sono figli della innovazione digitale. Qualcuno di loro predilige il legame con i territorio, che ritrovi nel gusto e nelle materie prime utilizzate.
Al Birroforum li puoi osservare i mastri birrai, ciascuno con le proprie movenze, mentre spillano. Puoi cogliere nelle espressioni, nello sguardo attento verso quella schiuma bianca che sale man mano che la birra scende nel bicchiere, la loro passione. Fermarti a conversare con loro (poiché i curiosi veri non sono tanti, a differenza dei bevitori) mentre ne esaltano le profondità ramate, e si esaltano. Ti raccontano i profumi, i sentori, quell’universo di sensazioni che dalle pareti umide del vetro arrivano agli occhi, al naso prima e poi al cuore. Ti narrano le loro storie, di chi ha trasformato l’amore per la birra in una missione, una scelta di vita, dandone anche, perché no, un risvolto sociale, come nel caso del birrificio romano Valelapena. E quello che sorprende è che di storie ce ne sono davvero tante, così come di birre da provare, per tutti i gusti. A ciascuno la sua, aspettando la prossima edizione.
© Articolo di Sabrina Iadarola
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