Il rito del caffè al bar fa parte della nostra tradizione e rappresenta un momento di relax e di aggregazione. Ma sappiamo riconoscerne la qualità? Caffè espresso: le 4 regole per la degustazione.
L’espresso italiano al bar! Croce e delizia di tanti baristi e tanti coffee lover. Probabilmente pochi prodotti sono stati altrettanto bistrattati e triturati nella macchina del business e, noi baristi italiani, abbiamo fatto la nostra parte dormendo sugli allori.
Abbiamo ritenuto, erroneamente, di essere bravi macchinisti proprio perché italiani, forti dell’invenzione nazionale della macchina per caffè espresso. Essa, infatti è stata brevettata a Torino nel 1884 dall’imprenditore Angelo Moriondo e si è diffusa nel dopoguerra, in tutto il mondo. Con queste macchine, fecero la loro comparsa anche quel piccolo miracolo che è l’espresso e i locali dedicati a questo irresistibile piacere dei sensi.
Perchè ci siamo abituati ad espressi scadenti?
Negli anni ’50, i torrefattori si abituarono al cosiddetto “comodato d’uso”, il contratto in base al quale consegnavano ai baristi la macchina espresso, affinchè la utilizzassero gratuitamente in cambio della fornitura esclusiva di caffè. La necessità di rientrare dal costo della macchina, però, impose ai torrefattori pressanti “paletti” sulla scelta della materia prima la quale doveva essere assolutamente poco costosa e corrispondere alla varietà “Robusta”. Ben presto, le miscele da bar vennero prodotte con ricche percentuali di Robusta che, in tazza, si trasformarono in bevande dense come il Vinavil, estremamente intense, amare, tanniche, legnose, allappanti al punto da lasciare il cavo orale secco, ruvido e (apparentemente) privo di salivazione.
Ovviamente non si poteva raccontare ai baristi che quelle caratteristiche erano difetti di un caffè ottenuto da miscele di bassa qualità, perciò iniziarono a raccontarci, tra le altre cose che «…se non fa scendere lo zucchero e se ti lascia a lungo sensazioni in bocca è buono!». Catramina pura, sostengo, io ma questa storia è durata per decenni e noi baristi, ignari untori, l’abbiamo raccontata ai nostri poveri clienti. Tutti quanti abboccammo. Poi, come si dice in collina dalle mie parti: «…anche al vino cattivo ci si fa la bocca!» e quindi, a forza di bere espressi scadenti ci siamo abituati.
Oggi possiamo affermare che le caratteristiche a cui siamo abituati ossia intensità, sciropposità e persistenza gustativa sgradevole non corrispondono ad alcuna qualità ma, al contrario, rappresentano difetti riconducibili a miscele scadenti.
Caffè espresso: le 4 regole per la degustazione
Se l’intensità, la sciropposità e la persistenza gustativa sgradevole sono difetti, come possiamo determinare la qualità oggettiva di un espresso? Proponiamo una breve guida per imparare a degustare il caffè e individuarne pregi e difetti, seguendo 4 regole.
1. Olfazione
Ricordiamoci che l’olfatto è un senso estremamente più sviluppato e analitico del gusto, pertanto che si tratti di un espresso, di un vino o di un piatto, prima di assaggiare o prima di giudicare dall’analisi visiva prendiamo l’abitudine di annusare. Tanto meglio se il caffè risulterà intenso al naso, ma prima di tutto deve essere piacevole, fine, aromatico, ampio ed elegante. In sintesi, prima dell’intensità, valutiamo la qualità, tenendo conto che è “meglio buono e lieve” che “forte e sgradevole”.
2. Assaggio
Anche qui non necessariamente dovremo ricercare l’intensità che, sicuramente, non è un difetto ma è un elemento secondario. Il caffè deve essere innanzitutto piacevole all’assaggio e dovrà trasmettere piacevoli sensazioni di freschezza, dolcezza acidula, sensazioni positive e piacevolezza di beva.
3. Piacevolezza del cavo orale dopo la deglutizione
Non si può considerare “buono” un espresso che lasci la bocca secca e ruvida. Al contrario, dovrò considerare positiva la sensazione fresca ed acidula di un caffè che mi lasci la bocca fresca e salivata.
4. Sensazioni retronasali
Sono molto importanti le percezioni che restano dopo la deglutizione dell’espresso. Non si tratta di persistenza gustativa del cavo orale ma è fondamentale che, dopo aver deglutito, inspirando ed espirando mi si riempia la testa (non la bocca) di profumi. Sono proprio i profumi che mi invoglieranno a bere un’altra tazza, unitamente alla freschezza e pulizia del cavo orale,
E il gusto personale, quanto conta?
Abbiamo dissertato di piacevolezza, profumi, aromi e finezza ma come facciamo a capire cosa oggettivamente è buono e cosa no? Come si fa a non lasciarsi condizionare dal “proprio gusto personale”?
Il mio consiglio è un mero “raffronto commerciale”. Un caffè pregiato costa qualche decina di euro al chilo. Potrà essere buono se sa di legno, di terra, di cuoio o di pepe? Sicuramente no perché tutti questi elementi costano molto meno del nostro beneamato chicco. Al contrario, il caffè sarà oggettivamente di qualità se ricorda i fiori, il miele, il cioccolato, la frutta, la confettura, il vino passito.
© Riproduzione vietata