Lo chef comasco ha intrapreso un percorso culinario intelligente e filosofico, dalla «nouvelle cuisine», alla convivialità e alla naturalezza. Ne ripercorriamo brevemente le tappe
46 anni, originario di Como, un ristorante (Il Portico) recentemente aperto ad Appiano Gentile: sembrano i connotati di una persona qualunque, di un cuoco più o meno qualunque. E invece Paolo Lopriore si è conquistato la fama di chef fuori dal comune per via di un percorso professionale particolare ed una serie di tappe evolutive inconfondibili.
Chef Paolo Lopriore, da Marchesi alla propria visione di cucina
Si potrebbe iniziare dalla prima esperienza, la più “banale”, quella vissuta con Gualtiero Marchesi, l’indiscusso Maestro della cucina italiana. Lopriore ha cominciato proprio lì, alla fine degli anni ’80 e dell’istituto alberghiero, in una cucina ostica, competitiva e illuminante. In quel luogo ha assorbito il ritmo e la filosofia di un vero ristorante d’alta gastronomia, nonché l’arte dello stesso Marchesi: una «nouvelle cuisine» italo-francese semplice, radicata nella tradizione regionale e nazionale, concentrata sulla materia prima, votata all’arte.
Questa è stata la tappa di moltissimi cuochi eccezionali nel nostro panorama nazionale, da Carlo Cracco a Davide Oldani fino a Pietro Leemann, ma per Lopriore – che decise di percorrere una strada unica – fu solo la prima fase.
La “cucina conviviale” di Paolo Lopriore
L’inizio di ciò che possiamo definire il suo periodo di intensa sperimentazionerisale al 2015, con il contratto come chef al ristorante Tre Cristi di Milano. Lì il cuoco comasco cominciò a mettere alla prova la sua idea di quella che poi è stata comunemente ribattezzata «cucina conviviale». Si tratta di qualcosa di estremamente semplice: spostare il centro dell’attenzione dal piatto, pensato fino a quel momento come tela bianca per la creatività del singolo, alla pietanza stessa, luogo di scoperta e di piacere per il commensale.
Questo percorso passa per una, apparentemente banale, riforma del concetto che sta alla base della ristorazione, cioè il rapporto tra cliente, cameriere e cuoco. Una ristrutturazione del «triangolo ristorativo» immaginata e perfezionata assieme a Luca Govoni, docente di storia e cultura della cucina italiana ad Alma: ricreare e rinsaldare quello che è sempre stato il motivo vero e centrale del sedersi a tavola, ovvero la convivialità, il rapporto felice e gioviale tra i tre attori del mangiare.
Ecco quindi che la pietanza non si compone più nel piatto, ma viene scomposta nei suoi ingredienti, ognuno nella propria stoviglia, con la propria dignità; i commensali possono scegliere quali componenti mangiare, in che combinazione e in che ordine, cosa condividere con gli altri e che esperienza vivere.
Ciò che il piatto perde in estetica post-moderna lo riguadagna grazie ai sontuosi oggetti di design che fungono da rinnovati attori della tavola e della cucina: vaporiere verticali per le cozze con burro al gin, affumicatrici in legno per la pera in quattro cotture, la brace con cloche per la cassoeula con salsa di semi di carota.
Il cuoco si può concentrare sulle singole tecniche e materie prime, il cameriere diviene attivo nella presentazione e nell’esposizione dei piatti, il cliente può personalizzare e condividere; finalmente possono interagire tra loro.
Cucina «circadiana»: ogni cibo al momento giusto
Ma l’evoluzione non si ferma qui; così, la cucina conviviale riceve una nuova e filosofica metamorfosi verso la cucina «circadiana».
Circa diem (letteralmente ‘intorno alla giornata’) è la locuzione latina da cui deriva il termine utilizzato al giorno d’oggi in biologia e nutrizione per definire il ciclo metabolico degli esseri viventi che viene regolato nel corso della giornata dal loro «orologio biologico» genetico.
Ogni ora del giorno e ogni condizione climatica prevede qualcosa da bere o da mangiare per mantenere l’organismo nutrito, idratato e sano. In questo modo la cucina si sposa con il benessere del corpo, una costante ricerca dell’alimento giusto nel momento giusto e nel modo giusto, il più naturale e genuino possibile, per poter sia gratificare il palato che proteggere la salute.
Da questa premessa nascono piatti conviviali tradizionalmente tecnici e quasi “primitivi”, come l’agnello allo spiedo «telescopico»: la carne viene arrostita per circa 6 ore, la legna viene scelta in base alla stagione, lo spiedo viene orientato diversamente a seconda del periodo dell’anno, dell’ora e del meteo; tutte condizioni che modificano l’attività del nostro organismo e le caratteristiche del cibo che mangiamo e cuciniamo.
Nel panorama gastronomico contemporaneo, quindi, Paolo Lopriore si ricava un posto graditissimo nella frontiera avanguardistica. Grazie anche ai suoi contributi, la cucina italiana e quella internazionale potranno continuare ad essere campo di sperimentazione, evoluzione e ripensamento dell’atto del cucinare e del mangiare, che fanno profondamente parte della nostra cultura.
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