Una degustazione monografica e territoriale dedicata al Vino Sangiovese di Romagna, è stata realizzata alla Baita di Faenza. Otto espressioni enoiche di un modo di pensare e creare arte liquida.
Il vino è figlio del territorio. Potrebbe sembrare una banalità. In Europa forse lo è. Non in America, ad esempio. Vocazione, terroir, enografia, identità varietale sono concetti che fanno parte della definizione di vitivinicoltura del Vecchio mondo.
Land-based o grap-based, due filosofie sul vino
In Europa, fatta eccezione per i cosiddetti Supertuscan ad esempio, le classificazioni – d’Oltralpe o italiane – puntano soprattutto a definire un vino come “figlio della terra da cui proviene”, quella che per Gianmarco Navarini (I mondi del vino – Il Mulino, 2015) viene definita cultura del land-based.
Nell’America e nel Nuovo mondo in generale, invece, la classificazione si incentra soprattutto sulla varietà. Sono i vitigni, e quindi le uve, che fanno il vino indipendentemente da dove provengono. È il concetto di grape-based. Questa filosofia, tanto imperante quanto delocalizzata, è sicuramente efficace dal punto di vista della permeabilità mercantile ma non gioca a favore di quell’idea di vino che, nel Belpaese e nei più aristocratici vignerol e château francesi, è invece definizione stessa di identità vinicola.
Il vino in Romagna, cosa sta cambiando
Bene, in Romagna, qualcosa ha iniziato a muoversi. Cambia la sensibilità culturale dell’enofilo ed enoamatore ma cambia anche la comunicazione di chi il vino lo produce. C’è voglia di emersione. C’è necessità di uscire allo scoperto portando alla ribalta sottozone, autenticità ed unicità che fanno peculiarità in calice.
Marne, arenacee, argille e sabbie al di là di chi pensa il contrario, sono “ingredienti” fondamentali nella creazione di una personalità ben specifica di vini e culture enologiche. Il vino si fa in vigna. Questo è quanto emerge dalla comparazione dei vini italiani. Ed ogni vigna è differente dall’altra. Non solo ampleografia ma enografia puntigliosa diventa la forza comunicativa di territori e vignaioli italiani. Romagnoli inclusi.
Il territorio di Modigliana
Francesco Bordini (Villa Papiano) è chiaro nel fotografare l’identità di questo territorio. «La città di Modigliana sorge in una valle in cui confluiscono tre torrenti che unendosi formano il Marzeno. I tre torrenti partendo da Est (confine con Rocca San Casciano) spostandosi verso ovest (confine con Brisighella) sono Ibola, Acerreta e Tramazzo. I tre torrenti caratterizzano altrettante sottozone di Modigliana differenti per tipo di suolo, altitudine, microclima e boscosità, in cui la vite si esprime con sfumature differenti».
- Ibola è la vallata più estrema. Arenarie quasi pure altitudini importanti (350-550m slm) e tanto bosco. Una vallata chiusa, più fredda con terreni esposti a sud donano al Sangiovese una personalità nordica. C’è affilatura in bocca, sapidità, profonda mineralità, dove vengono esaltate le caratteristiche “verdi” e un’acidità determinante.
- Tramazzo è invece al centro con un’apertura a sud. I terreni sono marnoso arenacei. Ampiezza, crescita altimetrica graduale, buona escursione e ventilazione donano ai Sangiovese più concentrazione, tannicità e sapide freschezze.
- Acerreta è la vallata di confine orientale. Predomina il giusto impasto tra arenarie con sfumature di calcare. Basse le altitudini(150-350) con soffi di brezza di mare educati donano al Sangiovese un carattere elegante, cristallino, tannico con propensione alla longevità.
Degustazione del Sangiovese di Romagna
La degustazione dedicata al Romagna Sangiovese prodotto nel territorio di Modigliana, è stata realizzata alla Baita di Faenza, dove sono stati presentati otto vini. Tre ambiti specifici affrontati:
- territorialità,
- differenziazione stilistica
- longevità.
Si è partiti con un grande intruso nel senso del vitigno: Mutiliana, Ecce Draco 2015 un Pinot nero elegante e fine. Figlio di terreni poveri, marnosi, arenacei e con grandi escursioni termiche, il vino nasce nel punto più alto del territorio (600 metri). Questo conferisce austerità, durezza e grande sapidità. Il tutto, tracciando linee di eleganza assolute e non eccessivamente fruttate che ne fanno un interprete straordinario del modus operandi vitivinicolo appenninico.
Si è poi arrivati all’approfondimento delle tre valli di Modigliana partendo con la florealità delicata di Villa Papiano, Le Papesse 2015 che in bocca esplode in una tannicità elegante e rarefatta con finale acido e agrumato che ne fanno il più “Nebbiolo” tra i Sangiovesi di questa terra.
Il Torre San Martino, Gemme 2015 è invece più asciutto e morbido, anche grazie alla presenza di argille nel terreno, e si denota per la sua chiara tannicità espressiva e quella nota balsamica e speziata che ne contraddistinguono la firma.
Il Mutiliana, Tramazzo 2015 è il vino balsamico tra tutti. Una raffinatezza stilistica che ne plasmano eleganza e finezza. Infine c’è Il Teatro, Violano 2015. Un vino sorprendente ma fedele al dna territoriale. Figlio di vigne antiche (60 anni) questo vino ammalia ad ogni sorso per la sua complessità e sapidità oltre che all’eleganza e alla possibile longevità che denota.
La degustazione prosegue con una sfida della longevità
La vera sfida della longevità arriva però con il Villa Papiano, I Probi 2013. Dirompente in bocca, deve il suo carattere austero e delicato al contempo alle lunghe macerazioni e alle bucce molto spesse di questo vitigno.
Sinonimo di totale eleganza e tannicità calibrata e non invadente è il Torre San Martino, Vigna 1922 2010. Un piccolo gioiello, ormai introvabile, che ammalia e colpisce per la sua densa personalità equilibrata tra sapidità, morbidezze e tannicità.
Infine lui, Il Pratello, Mantignano 2004, figlio di lunghi affinamenti su fecce e un rispetto assoluto in cantina. Straordinaria, affascinante e complessa la trama tannica. Morbidezza e sapidità si fondono in un connubio che lo elevano a testimone aristocratico del fare Sangiovese in Romagna.
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