Non è in discussione la qualità dei vini ed è appurato che il Collio abbia tutte le caratteristiche vocazionali ottimali per tornare a essere una denominazione forte. Si registra, tuttavia, l’esigenza di una progettualità più ambiziosa, basata su dinamismo e unità d’intenti. A partire dal rinnovamento del disciplinare che, da anni, non trova concretezza nel consenso fra i produttori
Amo il Collio. Per i suoi paesaggi incantevoli, la lunga storia, il vino e i tanti produttori illuminati. So bene che le zone di frontiera sono piene di contraddizioni, contraddistinte da faticosi equilibri precari, spesso manchevoli di solidità continuativa. Forse è anche per questo che provo verso questo terroir vocato un’affezione, che non mi impedirà mai, proprio per questo profondo legame, di essere critica.
Torno dall’ultimo mio viaggio in questa terra, in occasione della celebrazione dei sessant’anni della fondazione consortile e della consegna del Premio Collio, con la sensazione che il Collio sia in una fase delicata di transizione per il futuro della denominazione. Ma con la speranza che, se i produttori riusciranno a supportarsi reciprocamente, la svolta possa arrivare.
I sessant’anni del Consorzio Collio, una rivoluzione nel mondo del vino
Nel 1964 una ventina di padri fondatori danno vita a quello che è il primo consorzio in Friuli Venezia Giulia e fra i primi tre in Italia. È il Conte Sigismondo Douglas Attems di Petzenstein, primo presidente che resta in carica per ben 35 anni, a capire che era arrivato il tempo di unire le forze. Nel 1968 viene riconosciuto il disciplinare della Doc Collio.
I bianchi colliensi hanno fatto scuola con l’innovazione
Parte così una rivoluzione che scuote l’Italia intera: un passaggio epocale, i bianchi colliensi scardinano regole fisse e statiche, puntando su tutta una serie di strumenti innovativi, in vigna e in cantina, per dar vita a vini impressivi e longevi. Fino agli anni Novanta dominano incontrastati su tutti i bianchi italiani.
«Sin dall’inizio», racconta durante il convegno alla fondazione Villa Russiz il Conte Michele Formentini, tra i padri fondatori, «ci siamo strutturati con un laboratorio d’analisi per aiutare i produttori, ma abbiamo anche pensato a fondare la prima strada del vino in Italia, consapevoli dell’importanza dell’enoturismo».
Tra gli altri relatori del convegno, con la giornalista Licia Granello come moderatrice, erano presenti Bruno Pizzul, giornalista e telecronista sportivo italiano, Gianni Bignucolo, enologo e Tiziana Frescobaldi, presidente dell’azienda Frescobaldi.
Il Consorzio Collio fu tra i primi a dotarsi di un sistema di elaborazione per la strategia di difesa dei vigneti di totale avanguardia e ospitò forum fitoiatrici dei migliori ricercatori italiani ed esteri. Una visione lungimirante e pioneristica che fece scuola e creò l’intima connessione vino bianco=Collio.
Il bel Collio ha poi perso il primato rispetto ad altri bianchi italiani, che hanno saputo forse concentrarsi meglio su uno stile ben definito. D’altronde il panorama del Collio è caratterizzato da una grande frammentazione ampelografica, un vero mosaico di vitigni, che se da un lato costituisce un’immensa ricchezza (Gino Veronelli la chiamava liquidità musicale), dall’altro rischia di rappresentare un limite nel percorso di creazione di un’identità territoriale forte e facilmente riconoscibile (ci riferiamo principalmente al Collio bianco Doc), condizione attualmente importante per i mercati internazionali e nazionali.
«Se i fondatori furono nobili e benestanti, negli ultimi trent’anni», commenta Stefano Cosma, storico del Collio, «sono nate tante piccole nuove aziende da famiglie contadine che precedentemente conferivano uve o producevano vino per uso personale. Anche se l’estensione dei vigneti è rimasta sostanzialmente la stessa (attualmente 1.240 ettari, ndr), è cambiato il panorama produttivo».
Infatti, nella degustazione organizzata dal Consorzio e condotta dal sommelier Michele Paiano, erano presenti aziende di piccole e medie dimensioni, tenendo presente che, come ci conferma il presidente, metà delle aziende aderenti al consorzio produce tra le 200 e le 500mila bottiglie, l’atra metà è di piccole dimensioni, ben lontane dalle 100mila.
Una degustazione di vini del Collio in 15 etichette
Il tasting ha preso in considerazione quindici vini colliensi, dieci vini bianchi (cinque dei quali di annate dal 2013 al 2018) e cinque vini rossi (la Doc Collio non è composta esclusivamente da vini bianchi, anche se rappresentano l’88% della produzione).
L’ennesima riprova delle capacità di evoluzione dei bianchi del Collio, dovute anche alla ponca, nome friulano che si riferisce alla composizione dei terreni, un’alternanza di marne e arenarie, altamente caratterizzante per il profilo dei vini.
Il ritorno del Premio Collio
Dopo quattro anni di sospensione, finalmente torna il Premio Collio, giunto alla sua diciassettesima edizione. Ricordo molto bene, in occasione dei cinquanta anni dalla fondazione del consorzio, prima della consegna del Premio Collio, le parole di Marco Felluga, visionario pioniere del vino friulano, purtroppo scomparso qualche mese fa, a una platea gremita di produttori. Segnalò con grande rammarico e voce triste, che i vini del Collio da qualche tempo avevano perso fascino e interesse.
La sfidante considerazione di Felluga punse nell’orgoglio i produttori colliensi. Personalmente, pur non essendo d’accordo con il suo pensiero in quanto i vini bianchi del Collio sono ancora un riferimento (nonostante altre denominazioni siano cresciute esponenzialmente in qualità), per l’amore che porto a queste terre così uniche come vocazione vinicola, ritengo sia necessario fare nuovamente sistema come agli inizi per il bene del territorio, superando invidie personali e miopie, per procedere insieme.
Da anni si parla di un rinnovamento del disciplinare, che non trova concretezza nel consenso fra i produttori.
«Non è facile», commenta al riguardo David Buzzinelli, presidente del Consorzio, «trovare un equilibrio tra i nostri 178 soci, ognuno con le proprie idee. Dobbiamo trovare una direzione comune, ci stiamo lavorando e sicuramente quando la seguiremo uniti riusciremo a fare di nuovo la differenza. Il consorzio resta un punto di riferimento, una casa per tutti, il senso di appartenenza è molto forte: insieme, assumendoci ognuno le proprie responsabilità, possiamo trovare la giusta rotta per un luminoso futuro».
Il Consorzio ha un nuovo e giovane assetto
È stato importante vedere il rinnovamento nel Cda del Consorzio, con la presenza di molti giovani che stanno investendo le loro energie, un segnale positivo che coinvolge anche la parte operativa, con Lavinia Zamaro, chiamata due anni fa a dirigere il Consorzio e il suo staff femminile, rafforzato da Federica Schir, responsabile Ufficio Stampa.
Lavoro da fare ce n’è ma l’impegno è assiduo e personalmente non smetterò mai di credere che questo tesoro enoico possa tornare a essere effettivamente trainante, nuovamente sotto la luce dei riflettori come meriterebbe.
Vorrei sottolineare che la qualità dei vini non è in discussione, mi sembra invece che la visione progettuale del futuro della denominazione sia ancora sfocata. Per tornare a essere una denominazione forte (appurato che qui, da secoli, esistono tutte le caratteristiche vocazionali ottimali) occorrono anche chiarezza, visione, dinamismo e unità d’intenti.
I vincitori del premio Collio sono stati, per la sezione tesi di laurea triennale e magistrale, rispettivamente Eveljn Riturante e Antonella Fontanel (ex aequo); per la sezione giornalistica Davide Bortone per l’Italia e Michael Godel per l’estero.
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