È un prodotto da forno di origini antichissime dalla forma a ciambella e dalla mollica morbida e alveolata. Non ne esiste un’unica ricetta in quanto la sua preparazione e la farcitura variano a seconda delle province e dei prodotti tipici locali
La Pitta calabrese fa parte di quelle ricette tradizionali, tramandate di generazione in generazione nel corso dei secoli, la cui modalità di preparazione non può essere definita con sicurezza. Nessuno potrebbe affermare qual è il procedimento più antico, quello più corretta, rispettoso e fedele alla versione originale.
Vero è, tuttavia, che a conservare un legame forte con il passato sono le tradizioni familiari e le famiglie, vere depositarie e custodi di un antico sapere. Proprio lì si possono rintracciare le ricette del passato ed è proprio tra le ricette più antiche del ramo calabrese della mia famiglia, che ho casualmente ritrovato la ricetta della pitta, che si può definire una sorta di pan-focaccia perché non è esattamente una focaccia ma non è nemmeno pane in senso stretto.
Pitta calabrese: l’antico prodotto da forno nato “povero”
La pitta è un prodotto da forno dalla classica forma a ciambella e dalla mollica morbida e alveolata che lo distingue da altri pani simili. Consuetudine vuole che venga consumata dopo averla tagliata orizzontalmente per poi farcirla a piacere.
Street food tutto da gustare, per via delle infinite possibilità di ripieno con cui si può arricchire, la pitta in Calabria è tuttora considerata una vera e propria istituzione. Se oggi la versione farcita è un autentico tripudio di sapori, nel passato la pitta era ritenuta un pane di poco conto e di importanza trascurabile dal punto di vista nutrizionale, Infatti, nonostante fosse confezionata in ogni famiglia, a Vibo Valentia veniva chiamata “jettata”, ossia “gettata via”, per il fatto di essere infornata per prima e con l’unico scopo di sincerarsi che il forno avesse raggiunto la temperatura ideale per la cottura del pane.
Un’altra curiosità riguarda la sua forma perchè pare che, in origine, il tipico buco della ciambella fosse più accentuato. Le massaie più anziane ricordano che tra il diametro interno e quello esterno non corressero più di 5 centimetri e descrivono una mollica ridotta rispetto all’epoca più recente, verosimilmente per via della scarsa disponibilità di carne con cui farcirla.
Origini e storia della pitta calabrese
Da sempre, l’area principale in cui è nata e si è diffusa la pitta corrisponde al territorio intorno alla città di Catanzaro, dove il termine “pitta” si traduceva (e si traduce ancora) con “schiacciata di pane”. Proprio in questa città, la sua preparazione è strettamente legata ad altri due piatti tipici e molto popolari in tutta la provincia che ne costituivano la sua farcitura o, semplicemente, ne accompagnavano il consumo. Queste ricette sono “u’suffritt”, un preparato a base di carne di maiale mista a frattaglie, e “u’morzeddhu” un miscuglio di trippa vaccina e interiora.
Si ritiene che l’origine della pitta sia antichissima. Alcune fonti sembrano propendere per una discendenza greca e, secondo Gerhard Rohlfs, la parola pitta deriverebbe dal greco πίτα anche se l’ipotesi più credibile lega questa tipicità calabrese – seppur con qualche differenza – alla Placenta romana di cui a darci notizia è Catone il Vecchio. Etimologicamente, infatti, pitta proverrebbe dal latino “picta” cioè “dipinta” per indicare l’usanza romana di offrire in dono agli dei delle focacce decorate.
Varianti della pitta: cullura, pitta rustica e versioni dolci
Al di là delle congetture degli studiosi sulla sua nascita, va precisato che quando si fa riferimento alla pitta non si parla di un unico metodo di lavorazione né di un’unica modalità di presentazione finale: le ricette della pitta sono tante e variano a seconda delle province e dei prodotti tipici locali.
Se in tutta la provincia di Catanzaro, la pitta è preparata come una ciambella riempita con il classico murzeddhu, in altre aree della regione è conosciuta con il nome di cullura e si presenta in una versione più semplice, condita con olio e origano, oppure imbottita con gli ingredienti più disparati, dalla provola silana alla salsa di peperoncini e pomodori freschi, oppure con la sardella, ossia il novellame di acciughe e sardine condite con peperoncino e finocchietto selvatico. Non mancano, inoltre, i ripieni più classici a base di ‘nduja e capocollo oppure peperoni e melanzane, anche sott’olio. Non di rado, inoltre, la ritroviamo farcita con “pipi e patati”, peperoni e patate, o anche “rapi e sazizza” (rape e salsiccia) o molto più semplicemente con una fetta di “suprissata” o soppressata.
Pitta “rustica” o “china” e pitta “nchiusa o mpigliata”
Ci sono anche località, ad esempio, in cui per pitta si intende una focaccia che viene infornata con il condimento già inserito nell’impasto. È il caso della versione nota come “Pitta rustica” o “Pitta china”, una variante molto popolare che le donne ancora preparano liberando la loro fantasia e a cui, soprattutto in estate, accostano i prodotti freschi dell’orto. Il risultato finale è una sorta di pizza a doppio strato, generalmente ripiena di pomodori, erbe selvatiche di campo (chiamate “erbi i margiu”), olive nere, alici, salamino, ricottine o le famose cipolle rosse di Tropea, insomma si utilizza ciò che è disponibile o che rispecchia il proprio gusto.
Negli ultimi anni, si sono diffuse anche versioni dolci come quella che prevede l’aggiunta di abbondante crema al cioccolato ricoperta di zucchero a velo oppure la pitta “nchiusa o mpigliata”, il saporito dolce natalizio diffuso tra Cosenza e Catanzaro.
Lestopitta, la pitta veloce e senza lievito
A Bova, in provincia di Reggio Calabria, è popolare la “Lestopitta”, una versione grecofona della pitta il cui nome significherebbe “pitta veloce” e la cui forma ricorda quella del pane pita ellenico o della nostrana piadina romagnola. Come quest’ultima, la lestopitta vanta un impasto decisamente più semplice rispetto alla pitta originale, ottenuto da farina, acqua, olio extravergine di oliva, sale e privo di lievito. Dopo una semplice cottura su una padella unta con olio, si consuma con salsiccia arrostita, ciccioli di maiale, una spolverata di peperoncino o, più comunemente, con i salumi e i formaggi tipici calabresi.
La presenza della Pitta veloce a Bova, paese in cui sopravvive un lembo di cultura e lingua greca, il grecanico, proveniente direttamente dalla Magna Grecia, è anche ciò che farebbe propendere gli storici della cucina per un’origine ellenica della Pitta calabrese, in luogo di quella romano-italica, certamente più accreditata. Alla stessa matrice ellenica, sembra ritenersi dover far risalire la variante fritta con il miele, diffusa sulla costa tirrenica cosentina.
Dove si acquista la pitta calabrese
Come tutte le specialità da forno, la pitta si può acquistare in ogni panetteria calabrese ma la ricetta della pitta non è complicata da realizzare anche in casa. In tutte le versioni, l’impasto sembra essere il medesimo e prevede quasi sempre l’uso di farina di tipo 0, nelle versioni più recenti sostituita dalla farina Manitoba.
Ricetta pitta calabrese da fare in casa
Nella ricetta di seguito riportata, è prevista una miscela di farina di tipo 1 e farina zero.
Calorie per 100 g di pitta
- Kcal 270.00
- Kj 1113.00
- Grassi: 2,6 gr
- Carboidrati: 55 gr
- Proteine: 9,8 gr
- Acqua: 30, 6 gr
Composizione in macronutrienti
- 77,8% Carboidrati
- 13,9% Proteine
- 8,35% Grassi
Pitta da 800 g
Media
Basso
7 ore circa
30 minuti
250°C
Pitta da 800 g
Media
Basso
7 ore circa
30 minuti
250°C
- 250 g di farina di tipo 1
- 250 g di farina di tipo 0
- 300 g di acqua
- 200 g di lievito madre rinfrescato (in alternativa: 130 gr di licoli rinfrescato o 15 gr di lievito di birra fresco o 7 gr di lievito di birra secco)
- 30 g di olio extravergine d’oliva
- 1 cucchiaino di zucchero
- 12 g di sale.
Pane pitta calabrese: la ricetta
- Sciogliete il lievito nell’acqua, che dovrà essere tiepida solo qualora si scelga di utilizzare il lievito di birra fresco o secco
- Aggiungete lo zucchero e l’olio e, dopo aver emulsionato bene questi due ingredienti, unite tutta la farina setacciata
- Attivate la planetaria per circa 5 minuti, aggiungete il sale e continuate a impastare per altri 15 minuti, passando dalla bassa velocità a quella alta per poi ridurre nuovamente l’energia al fine di evitare che l’impasto si surriscaldi troppo. Dovrete ottenere un composto ben incordato, liscio ed omogeneo che verserete sulla spianatoia leggermente infarinata. A questo proposito, è consigliabile utilizzare la semola: asciuga l’umidità senza alterare l’equilibrio dell’impasto
- Dopo aver dato un giro di pieghe all’impasto, pirliatelo e formate un panetto da mettere a riposare in una ciotola ampia e ben oliata, coperta da un foglio di pellicola. Lasciate il contenitore a riposare, da un minimo di 5 ore a un massimo di 12 ore (la massa deve raddoppiare), al caldo e lontano da correnti d’aria
- A lievitazione ultimata, rovesciate l’impasto prima sulla spianatoia e poi, da qui, sulla teglia. Qualora temiate di non riuscire a compiere quest’ultima operazione, sarebbe meglio stenderlo direttamente sulla teglia ben infarinata
- Qualunque sia la modalità di stesa prescelta, dovrete schiacciare molto bene la pasta così da formare un disco alto circa 1 cm, al centro del quale delicatamente andrete a realizzare un buco, aiutandovi con le dita o con un coppapasta. Sempre con le dita allargate il foro, cercando di dare alla ciambella una forma quanto più regolare possibile
- Rimettete la ciambella a lievitare per circa un’ora. Venti minuti prima di infornarla, accendete il forno alla massima temperatura e sistemate sul fondo un pentolino di acqua fredda
- A forno riscaldato, inserite la Pitta facendola scivolare su una pietra refrattaria se l’avete o, in alternativa, su una teglia rovesciata così da non lasciarla a contatto diretto con la resistenza del forno. Se, invece, siete panificatori alle prime armi e ancora poco pratici nel rovesciare l’impasto sulla teglia con un movimento secco, infornate pure la pitta nella teglia in cui l’avete stesa
- Cuocete a 250°C per circa 5 minuti, quindi abbassate la temperatura a 200° e proseguite la cottura per altri 25 minuti. La Pitta dovrà colorarsi ma non bruciarsi, gonfiarsi ma non spezzarsi. Se doveste accorgervi che sta prendendo troppo colore, riducete ulteriormente la temperatura negli ultimi 10 minuti portandola a 180°
- Terminata la cottura, aprite il forno e lasciate la pitta al suo interno per qualche minuto. Solo a questo punto sfornate e aspettate si raffreddi completamente, avvolta in un canovaccio di lino o cotone.
Come servire la pitta di Calabria
- La Pitta può essere servita al naturale, sebbene si apprezzi maggiormente farcita
- Poiché tende a seccarsi, è consigliabile conservarla avvolta nel suo canovaccio così che possa mantenersi morbida e fragrante ancora per qualche giorno.